Il rapporto bergamaschi-sesso Ai giovani si dice solo: «Attenti»
Oggi a livello ufficiale, sia che si tratti dei genitori, sia che si tratti delle istituzioni è universalmente accettato il naturale fatto che sì, i giovani fanno sesso; che no, non se ne devono vergognare e che sì, è meglio fare la meschina e indecorosa figura di acquistare i preservativi alla farmacia del paese piuttosto che dover fare i conti con una gravidanza indesiderata, oltre che ovviamente con tutte le malattie strettamente legate ai rapporti sessuali.
«Quando i miei hanno saputo che avevo una ragazza, sono stati loro ad affrontare per primi il discorso. Mi hanno raccomandato di prendere precauzioni e mi hanno sempre permesso di dormire a casa con lei e di andarci in vacanza insieme. Non sono stupidi, sanno che facciamo sesso. Piuttosto che sapermi imboscato in qualche parcheggio mi hanno sempre detto che preferiscono che io stia a casa a vivere la mia intimità con lei». Sono parole di Marco, 21 anni, ma la sua esperienza è comune a tantissimi altri ragazzi.
Oggi tuttavia c’è ancora – e non sono pochi – chi fatica a concepire che tra figli e genitori si possa parlare liberamente dei rischi del sesso, o addirittura esplicitare concetti come il sesso orale o i rapporti omosessuali. Soprattutto in un Paese come il nostro, tra i più arretrati dal punto di vista dell’educazione al sesso: basti pensare che uno dei massimi tentativi di sensibilizzazione fino a pochi anni fa era stato l'opuscolo sull’Aids di Lupo Alberto. Intendiamoci: di sesso a livello ufficiale se ne parla, certo, ma solo per prevenirne gli effetti collaterali, per mettere in guardia. Il sesso vero, fatto di sensazioni, di corporeità e di grovigli psicologici, di foga e di eccitazione, di paura e di possesso, di dominio e sottomissione, è ancora indicibile.
Ce ne parla Carlo, ragazzo omosessuale di 21 anni, che quando gli chiediamo se pensa che di sesso si parli a sufficienza ci risponde: «Di sesso mi capita di parlare, certo, e ci mancherebbe. Ma tendenzialmente, sia per vie istituzionali, sia con i miei genitori, mi sono sempre trovato a dover ascoltare lezioni trite e ritrite sull’importanza di prendere precauzioni, di fare le cose in modo sicuro. Non mi è mai capitato di essere ascoltato riguardo a tutto ciò che riguarda i risvolti psicologici del sesso. Ci sono cose che mi piace fare, che mi danno piacere, ma che mi fanno sentire sporco. Più che di masturbazione, in cui devo fare i conti solo con la mia coscienza, e sinceramente mi sento a posto, parlo di certe “per versioni” che hanno sempre lasciato interdetti i - pochi - partner che ho avuto. Questo proprio perché vengono riconosciute come “perversioni”, e non come altri modi di provare piacere. Sarebbe bello se tutti fossero davvero mentalmente e culturalmente liberi di poter provare piacere senza doversi vergognare del “come”».
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Nessuno nega che sia giusto educare sui rischi concreti di un rapporto sessuale. Ma vivere il piacere come una colpa è comunque un trauma, e l’idea, diffusa anche se solo pensata o al massimo mormorata, che esista una sessualità sana e una non sana, senza che il confine tra le due venga mai realmente delineato, condiziona non poco il modo di avvicinarsi al sesso delle persone più fragili. E quando si tratta di interagire tra coetanei, tutto questo si riflette, anzi, quasi si ribalta: si gioca quasi, sfruttando quel confine di indicibilità che si trasforma in intrigante o becera allusività. E basta una parola per passare da affascinante Dorian Gray (o Christian Grey, per stare al passo con i tempi) a molestatore seriale, pervertito e squallido.
Per le ragazze poi, è ancora più difficile e compromettente parlare di certe cose liberamente, soprattutto quando esiste un codice non scritto che tende a dividerle in ragazze facili e non facili. Perché se è vero che viviamo in un mondo in cui si dice che a letto ognuno fa quello che vuole, è vero anche che questa presunta libertà sessuale esiste solo a parole, e che ogni azione compiuta in privato, seguendo il proprio istinto erotico, può avere ripercussioni sulla posizione sociale di chi è coinvolto: «Il mio più grande errore è stato fare sesso orale a un amico quando avevo diciassette anni, sei anni fa. Giusto un mesetto fa mi è stato riferito che un altro ragazzo, che nemmeno mi conosce, si è riferito a me, ancora oggi, definendomi “quella che fa i pompini in bagno”. La mia fama mi precede! Pensa che bello... A me non cambia niente, va bene così. Ma bisognerebbe riflettere sul fatto che dietro a ogni scelta ci sono delle spinte contrastanti: con che autorità si può dire che scegliere il piacere sessuale sia moralmente più degradante che trattenersi sempre? Non è più degradante marchiare una persona perché una volta ha scelto di seguire certi impulsi piuttosto che altri? Credo che questi siano i veri rischi di una carenza di educazione sessuale. Perché sono convinta che non sia chi asseconda i desideri a sbagliare, ma chi disprezza chi lo fa». Parola di Giorgia, ragazza di ventitré anni che ci ha raccontato la sua esperienza.
Di nuovo è legittimo chiedersi quando e per quale motivo il piacere sia diventato una colpa: tutto questo è retaggio di una concezione comune secondo cui esistono una sessualità pulita e una sessualità sporca, ed è evidente che di sesso non si sia mai realmente parlato. Insomma, il punto della questione è che sì, oggi si parla di sesso (con i dovuti asterischi che ricordino che l'Italia non può certo vantarsi di avere una mentalità particolarmente aperta in materia). Tuttavia si parla di un sesso dogmatico, lontano dal reale, insensibile ai dolori più sottili e subdoli. Del sesso vero non se ne parla né a scuola, né a casa, né con gli amici. E i giovani ne risentono e agiscono di conseguenza, e non crediamo, come sarebbe facile fare, che ogni barriera sia abbattuta: l'educazione sessuale vera è ancora molto molto lontana. E i reietti, i pervertiti, i malati, colpevoli di assecondare i richiami del corpo, non hanno nessuno con cui parlare.