Un'indagine americana

I ricchi hanno una marcia in più Parliamo di intelligenza e affini

I ricchi hanno una marcia in più Parliamo di intelligenza e affini
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Che i soldi facessero (forse) la felicità è ormai risaputo, ma che rendessero pure più intelligenti, questa è proprio una novità. Eppure sembra proprio così, almeno stando a uno studio americano condotto dal Massachusetts Institute of Technology e dell’Harvard University, entrambi negli Stati Uniti, su ragazzi in età scolare e il loro rendimento nello studio, risultato molto più performante e soddisfacente in condizioni abbienti.

Ricchi, belli e intelligenti. Il benessere economico e sociale si può leggere pure dal cervello.Strano e impossibile? No, un dato di fatto. Capire se una persona vive in un contesto famigliare o in genere ambientale più favorevole di un’altra si può facilmente intuire dal tipo di linguaggio che usa, più ricco e fluente, dagli abiti che indossa, dal tipo di vita che conduce e dalla carriera, anche scolastica, che intraprende. E dai risultati che consegue. Tutti elementi che in un certo qual modo potrebbero evidenziare che questa persona potrebbe avere intellettivamente una marcia in più. Non perché dotato di un quoziente intellettivo superiore, si intenda, ma perché vi sono state circostanze che hanno consentito un migliore sviluppo di tutte quelle facoltà che si raggruppano sotto il termine di intelligenza. Ovvero: capacità di apprendimento, concentrazione, osservazione, elaborazione delle informazioni ricevute e compagnia. Ma che il benessere che ha reso possibile tutto questo potenziamento mentale potesse essere percepito anche da alcune aree cerebrali sembrava fantascienza. Fino ad oggi, almeno.

 

 

Uno studio americano. Più precisamente, bostoniano. L'indagine ha preso in considerazione 58 ragazzi fra i 12 e i 13 anni, 35 di buona famiglia (economicamente parlando) e altri 23 ritenuti indigenti, in quanto non in grado di pagarsi la mensa scolastica. I ragazzi sono stati sottoposti innanzitutto a una serie di test di intelligenza, utili a valutare le loro generali performance e caratteristiche mentali, poi a una risonanza magnetica mirata a quelle regioni cerebrali nelle quali risiedono la logica e il ragionamento, ma anche a quelle deputate al linguaggio e alle percezioni sia sensoriali (in particolari visive) che motorie. I ragazzi ricchi avevano ottenuto risultati migliori nelle abilità e nei test che riguardavano la capacità di apprendere, la quale – e sta qui la particolarità dalla studio – si associava a una corteccia cerebrale più spessa nella zona dei lobi temporali e occipitali. È stata questa l’unica differenza ‘clinica’ tra i due gruppi di ragazzi, perché sostanza bianca o altre aree della corteccia all’esame sono risultate assolutamente identiche.

Il motivo è ancora ignoto. Spiegare scientificamente questa variazione di spessore indotta dal benessere sulla corteccia cerebrale è ancora impossibile. Tuttavia, la prima ipotesi è che alcuni fattori, quali un minore livello di stress subito dai ragazzi ricchi da piccoli, così come l'accesso a maggiori opportunità sociali, educative e non solo, si traducono in più stimoli per il cervello e a maggiore curiosità verso quanto ci sta intorno.

 

 

Per i ragazzi meno fortunati, niente timori. Perché non sono destinati a rimanere un passo indietro rispetto a chi ha avuto possibilità economiche. Infatti, il cervello possiede una grande plasticità e questo significa che educazione, supporto familiare e ogni altra opportunità sono in grado di  plasmare, in qualsiasi momento, la struttura del cervello anche di chi parte svantaggiato. Sta dunque al mondo degli adulti e delle istituzioni, mettere a punto soluzioni, trovare strategie o sinergie che possano aiutare i ragazzi a sviluppare  facoltà e talenti che non sono stati potenziati in casa per varie ragioni. Che rendere un ragazzo più intelligente fosse possibile era fino ad oggi solo un sospetto, oggi gli esiti degli interventi famigliari, scolastici e sociali possono essere addirittura fisiologicamente misurabili. È proprio il caso di dirlo: non resta che mettersi di buzzo buono, perché questa opportunità non resti solo a livello di studio scientifico ma diventi realtà. Per tutti.

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