Rimbalzato da un ospedale all'altro Aspettava l'intervento: morto a casa
Se ne è andato nel sonno all’età di 45 anni, dopo una vita dedicata al lavoro e alla famiglia. A trovare Claudio Fontana, sul divano, privo di vita - ancora avvolto nella coperta che la madre amorevolmente gli aveva steso sul corpo la sera prima - è stato il padre Ambrogio, noto sacrestano della chiesa della Vittoria di Lecco. Nonostante la tempestività dei soccorsi, per Claudio non c’è stato nulla da fare. Non ha più riaperto gli occhi, lasciando nei suoi cari un grande vuoto. E tante domande.
Chi era. Nativo di Lecco, il 45enne non era sposato e viveva a Pescate con i genitori, papà Ambrogio e mamma Rosalia, e la sorella Donatella. Poi ci sono anche i fratelli Alessio e Maria che sono sposati. Una grande famiglia, che ha vissuto anche a Olginate, per 17 anni a Casatenovo, dove Claudio ha studiato e dove la mamma ha lavorato alla mensa della Vismara e a Valmadrera. Da quattro anni la famiglia vive a Pescate. Tutti quanti a più riprese hanno dato una mano nella chiesa della Vittoria insieme a papà Ambrogio, che fa il sacrestano da 36 anni. Racconta mamma Rosalia: «Mio figlio lavorava al Mollificio Lecchese di Valmadrera, ha dedicato la vita al lavoro. In 18 anni avrà fatto quatto o cinque assenze. Una dedizione eccessiva, che lo ha portato a non curarsi pur di non restare a casa in malattia. Negli ultimi anni era in sovrappeso, è arrivato a pesare 180 chili e aveva deciso di sottoporsi all’intervento di riduzione dello stomaco. Contestualmente però aveva anche un’ernia che non era stata operata».
Quindi il 2 febbraio mamma Rosalia ha accompagnato il figlio ad una visita all’ospedale di Monza. «Non ha voluto che entrassi, ma in seguito ho scoperto che la dottoressa che lo ha visitato aveva scoperto che l’ernia si era infettata. Ci ha suggerito di tornare a Lecco per effettuare l’intervento, prima della riduzione dello stomaco». La famiglia Fontana ha quindi preso appuntamento alla clinica Mangioni per il proprio caro. «Questa volta ho deciso di entrare con lui. Il medico che lo ha visitato ha detto che, se fosse stato per lui, lo avrebbe operato subito, ma la clinica non era in possesso di un lettino adatto al peso di mio figlio. Quindi ci hanno consigliato nuovamente il San Gerardo di Monza, anche perché alla Mangioni non c’è il reparto di Rianimazione».
Ritorno a Monza. La famiglia è dunque tornata a Monza. «Siamo tornati al San Gerardo e abbiamo trovato la stessa dottoressa della volta precedente che gli ha fatto un’impegnativa per il 1 marzo. Gli ha detto: “Ci vediamo fra 15 giorni per parlare con un altro chirurgo”. Il 1 marzo io ho sepolto mio figlio. Forse non si poteva salvare. Forse invece se lo avessero ricoverato subito, sarebbe ancora qui fra noi. Aveva le gambe nere e un’infezione in corso, possibile che non potessero intervenire tempestivamente? Non è nello stile della nostra famiglia fare polemiche, quando mi sarò ripresa andrò a Monza a parlare con questa dottoressa».
Non stava bene quel giorno. Claudio non stava bene da qualche giorno e lunedì 26 febbraio la famiglia lo ha convinto a stare a casa dal lavoro. «La sera si è sdraiato sul divano in sala. Mi ha appoggiato la testa sulla spalla. A lui piaceva scherzare. L’ho fatto distendere e gli ho portato una coperta. A volte capitava che restasse sveglio fino a tardi a guardare la tv. Alle 4.30, si è alzato per andare in bagno. E quindi sono andata subito a controllare che stesse bene. E’ tornato sul divano, gli ho portato un’altra coperta e sono tornata a letto». La mattina successiva è stato papà Ambrogio a trovare il figlio, privo di vita. «E’ entrato in sala. L’ho sentito gridare: “Claudio svegliati! Svegliati! Apri gli occhi”. Io l’ho raggiunto subito. Gli ho messo la mano sul cuore, ma non batteva più». Immediata è partita la chiamata e sul posto è arrivata un’autoambulanza e un’auto medica. Con il defibrillatore il medico di turno ha cercato di risvegliare il 45enne. Una... due... tre volte. «Gli hanno somministrato una puntura di adrenalina, e hanno fatto tutto ciò che poteva no, ma alla fine hanno dovuto arrendersi. Claudio se n’era andato e con lui il mio cuore».