Riscatto per Vanessa e Greta? Perché è possibile, ma anche no
Con la liberazione di Vanessa Marzullo e Greta Ramelli, le due ventenni cooperanti che erano state rapite in Siria il 31 luglio 2014 e sono rientrate in Italia nella notte tra giovedì 16 e venerdì 17 gennaio dopo oltre 5 mesi di prigionia in mano dei miliziani di al-Nusra, è scoppiata la polemica sul presunto pagamento del riscatto. Tutto è partito da un tweet di un siriano vicino al gruppo jihadista che aveva in mano le ragazze: «Jabhat al-Nusra (islamisti della Siria) rilascia i 2 ostaggi italiani, 12 milioni di dollari, Iddio non ci ha fatti che per la vittoria di questa Religione… dollari! Caspita!». L’indiscrezione è stata ripresa dai media arabi e s’è poi diffusa a macchia d’olio: l’Italia avrebbe dunque pagato 12 milioni di dollari per ottenere la liberazione di Vanessa e Greta.
تنظيم القاعد دمر ما تبقى من الثورة السورية.. واخرها خطف الناشطتين الايطالتين واطلاق سراحهما مقابل 12مليون دولار ليظهرها ثورة ارهابية للعالم
— eyad khateb (@EKhateb88) 15 Gennaio 2015
Sui social è iniziato a serpeggiare lo sdegno di tanti, scandalizzati dal fatto che una cifra così alta possa essere stata pagata per liberare due ragazza che in tanti hanno definito «incoscienti» (negli appellativi più gentili) per essere andate, così giovani, in una terra di guerra. La polemica è poi montata per le critiche giunte da diversi esponenti del M5S e della Lega Nord, a partire dal leader Salvini, che ha definito «uno schifo» l’eventuale pagamento del riscatto.
Se veramente per liberare le due amiche dei siriani il Governo avesse pagato un riscatto di 12 milioni, sarebbe uno schifo! #Salvini #Lega
— Matteo Salvini (@matteosalvinimi) 15 Gennaio 2015
Il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, nel primo pomeriggio di venerdì 17 gennaio, ha tenuto un discorso alla Camera. Nell’occasione ha negato il pagamento di qualsiasi cifra da parte dell’Italia, liquidando le voci come «illazioni». Tesi che ha confermato poche ore dopo ospite al programma Otto e Mezzo su La7. Le due ragazze, però, davanti ai procuratori di Roma che le hanno interrogate nelle ore immediatamente successive al rientro in Italia, hanno affermato che i loro rapitori hanno detto: «Vi abbiamo prese per i soldi». Quale dunque la verità? Difficile, se non impossibile, affermarlo. Solo i vertici dei servizi segreti italiani e della Farnesina possono sapere la realtà e certamente non la sbandiereranno ai quattro venti. Si possono però fare delle valutazioni. Le ha fatte, ad esempio, Carlo Biffani, 54 anni, ex paracadutista della Folgore e oggi direttore generale della società Security Consulting Group, che si occupa della pianificazione e dello svolgimento di servizi che spaziano dalla sicurezza al business intelligence fino alla formazione. Intervenuto a Radio 24, Biffani ha esposto in modo chiaro i motivi per cui è possibile che l’Italia abbia pagato un riscatto e quelli per cui, invece, non è possibile. Mettendo in luce come sia complicato giungere ad una verità certa e chiarendo alcuni “segreti" del mestiere.
Perché l’Italia potrebbe aver pagato. Nessuno fa niente per niente: se i miliziani hanno liberato le ragazze è perché qualcosa in cambio è stato loro dato. Lo Stato italiano prevede, inoltre, un capitolo di spesa appositamente dedicato a questo tipo di situazioni, che permette di avere a disposizione dei fondi per intavolare delle trattative necessarie proprio ad ottenere la liberazione di ostaggi italiani all’estero. È logico che sia difficile da sapere: nessuno paga un riscatto versando assegni o facendo un bonifico. La prassi standard, in questi casi, è che alcuni soggetti trattino direttamente con le controparti, o comunque con dei mediatori scelti. Una volta raggiunto l’accordo, poi, altri soggetti s’incontrano con i rappresentanti dei rapitori in località segrete, situate spesso, quando si tratta di gruppi jihadisti, negli Emirati Arabi. Il passaggio del denaro avviene qui, lontano da occhi indiscreti e con modalità difficilmente tracciabili.
«Trattare è necessario, pagare è legittimo. Lo fanno tutti» afferma Biffani nell’intervista. Ed è un dato di fatto: tutti gli Stati, nella loro storia, hanno pagato un riscatto almeno una volta per ottenere la liberazione di propri cittadini prigionieri all’estero. Biffani aggiunge: «Tutti gli Stati si siedono al tavolo delle negoziazioni. Poi, però, possono agire in maniera diversa: gli americani, ad esempio, se c’è un 1% di possibilità di liberare i sequestrati con un’azione di forza e senza pagare un dollaro, sicuramente opteranno per questa strada; viceversa noi italiani, se abbiamo un 1% di possibilità di liberare il sequestrato trattando fino alla fine, optiamo per questa di strada». Del resto l’Italia non ha la forza militare e la preparazione per puntare sulla forza e calcare la mano, come invece fanno sempre gli Stati Uniti. Infine, a rendere più probabile l’ipotesi del pagamento del riscatto, ci sono anche alcuni dati: dal 2004 al 2014, secondo più fonti, l’Italia avrebbe sborsato 60 milioni di euro in operazioni di questo tipo. I soldi, insomma, escono eccome per i riscatti.
Perché l’Italia potrebbe non aver pagato. A dimostrazione della criticità del tema trattato, ripartiamo dai dati relativi ai 60 milioni di euro che l’Italia avrebbe sborsato, negli ultimi 10 anni, per vari riscatti: Biffani spiega che questa cifra è assurda. Come si possono sapere le cifre esatte di un riscatto internazionale? Sicuramente dei costi ci sono, anche solo per le attività di negoziazione e di recupero dei sequestrati, ma dare una cifra precisa è alquanto complicato. Inoltre, in questo caso, la notizia dei 12 milioni è iniziata a circolare dopo un tweet di un soggetto vicino ai miliziani. E la situazione tra i vari gruppi jihadisti in quelle aree è complessa: sono tutti in competizione tra loro. C’è quindi la possibilità che la notizia sia stata diffusa solamente per farlo credere ai gruppi rivali. Il motivo? Biffani lo spiega: «È una mera questione di brand, di appeal. È come se il gruppo dicesse ai rivali: “Vedete? Ci hanno pagato 12 milioni. Il nostro brand funziona più del vostro”».
Altra cosa importante da sottolineare è che il pagamento in denaro non è l’unica modalità con cui vengono pagati questo tipo di riscatti. Spesso uno Stato fornisce, in cambio della liberazione dei sequestrati, l’assistenza medica per soggetti feriti, oppure l’allentamento della morsa di controlli su una determinata area strategica per le attività dei miliziani. Altre volte ancora, invece, avviene un semplice scambio di prigionieri. Insomma, le modalità sono tante e il pagamento in denaro è l’ultima spiaggia che uno Stato usa nelle trattative.