Senza mezzi termini

Roberto D'Agostino le canta ai radical chic del Premio Capalbio

Roberto D'Agostino le canta ai radical chic del Premio Capalbio
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Ricordate Capalbio? Un tempo era la Piccola Atene della sinistra chic italiana. Ogni estate si davano appuntamento tutti i benpensanti alla corte dei Caracciolo o dei Pietromarchi. Oggi, nell’era dei barbari giallo verdi, Capalbio è finita un po’ nel dimenticatoio, ma per i suoi fedeli frequentatori è cambiato poco. Sono tutti convinti che sia solo una parentesi e che presto tornerà il sereno. Ogni anno la stagione estiva di Capalbio finisce con un pomeriggio conviviale in cui il sindaco Bellumori consegna i platonici premi che prendono il nome dalla cittadina. In genere, come riferisce una cronaca esilarante sul sito di Dagospia, vengono «premiati preferibilmente scelti tra chi possiede villa o casale nel raggio di venti chilometri, diciamo fino al Monte Argentario, Ansedonia: e quindi quest’anno uno dei prescelti è stato Giuliano Amato». Tutto bene e tutti felici.

 

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Sino a che sul palco non è salito un premiato che si è divertito a rompere qualche bicchiere in tavola in «quest’enclave del socialismo finalmente realizzato citando Bobbio e stappando Dom Perignon». E chi è questo premiato? Proprio il fondatore di Dagospia, alias Roberto D’Agostino, il quale è stato ritenuto degno del nobile riconoscimento in virtù della trasmissione inventata per Sky arte, un magazine su arte e innovazione tecnologica: Dago in the Sky. In platea è salito qualche brivido quando lo hanno visto comparire nerovestito e tatuato con un cappellaccio nero calcato in testa. Riferisce la cronaca: «Ma hanno pensato: se anche lui è qui vuol dire che è dei nostri».

Se era dei “nostri” comunque non era molto ben disposto. Infatti, avendo sentito poco prima il vecchio ben pensante Furio Colombo fare una tirata contro lo scandalo morale di Salvini che teneva in ostaggio quelli della Diciotti, D’Agostino ha pensato bene di esordire così: «E ora però vorrei dirvi anche un paio di cosine… La prima è questa: premesso che Salvini non piace neppure a me, un tipino che è maleducato anche quando sta zitto, ma voi con che coraggio vi indignate per la sorte riservata a quei profughi disperati su quella nave giù a Catania se qui, proprio qui, l’anno scorso vi siete rifiutati di accogliere nientemeno che cinquanta migranti?». Apriti cielo. Dalla platea Furio Colombo ha iniziato a gridare che quella era una fake news. Peccato, gli ribatte Roberto dal palco, che quella fake news l’avesse data proprio il giornale per il quale collabora Colombo, cioè Il Fatto... «Non potevi scriverlo a Travaglio che era una bufala?».

 

 

E non era finita qui. Perché Dagospia aveva qualche altra cosina da riferire quella nobile platea. «Alzate il ditino dell’indignazione sulla Diciotti e quel trucido di Salvini ma nemmeno una parola è stata spesa sulla strage di Genova: 43 morti, centinaia di feriti e oltre 600 sfollati solo perché Autostrade per l’Italia della famiglia Benetton ha dimenticato anni e anni di avvisi che il viadotto era a pezzi. Non solo: perché abbiamo dovuto aspettare 4 giorni prima di riuscire a leggere su Repubblica e il Corriere il nome di Benetton, quella cara famiglia che ogni anno sgancia sui giornali 60 milioni di inserzioni pubblicitarie? I tapini scrivevano: Atlantia. Ma cos’è Atlantia, una fiaba, un nuovo film di Walt Disney?».

E poi il gran finale. «E sì, certo… vi vedo un po’ storditi… vi fa male ascoltare certe cose, eh? Beh, allora vi dico pure che è davvero curioso che qui, davanti a Capalbio, l’Italia sia come spezzata. Ci sono autostrade ovunque ma qui, esattamente qui, voi siete riusciti a non far stendere la minima striscia di asfalto… una botta di arroganza assoluta solo perché vi dava fastidio, vi rovinava il panorama dalle vostre ville? Massì, siamo tutti bravi a fare i froci col sederino degli altri».

Alla fine qualche tiepido applauso un po’ smarrito. E tanti abbracci che sanno un po’ di congedo. Capalbio chiude. Chi si farà vedere l’anno prossimo?

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