Vola ai Mondiali in Giappone ma lascia a casa suo figlio

Un padre che “licenzia” suo figlio. È quello che ha fatto ieri Romeo Sacchetti, detto Meo, allenatore della nazionale italiana di basket, che ha deciso di tagliare dalla lista dei 12 che andranno a giocarsi il Mondiale in Giappone suo figlio Brian. Il Mondiale per un giocatore è l’appuntamento della vita, come pure le Olimpiadi: e vederlo in tv dopo essere stato a un passo dall’essere in campo non deve essere esperienza piacevole. Ma così ha deciso papà Meo, uno che di basket certamente se ne intende. Il suo palmarès è di quelli da tanto di cappello, sia come giocatore che come allenatore. C’era in occasione della leggendaria medaglia d’argento olimpica del 1980; c’era quando nel 1983 in Francia l’Italia si prese l’oro agli Europei. Da allenatore ha fatto meraviglie con la sua Sassari, la squadra in cui Brian ha giocato sette anni, vincendo anche lui tutto; e quest’anno ha sbancato con un’altra provinciale, la Vanoli di Cremona, che ha portato a vincere la Coppa Italia. Insomma Meo in quanto a basket è un’assoluta autorità, e certamente anche il figlio ne è consapevole.
Meo Sacchetti non è uomo dai modi delicati. Del resto è uno che ha assaggiato tutta la durezza della vita. È figlio di immigrati rumeni (il cognome in origine era infatti Sachet) ed è nato in un campo profughi ad Altamura nel 1953, perché i genitori arrivati qui per lavorare a fine anni 40, avevano deciso di restare. Gli consigliarono di italianizzare il cognome, e così è stato. Erano arrivati con tre figli. Lui, Meo, invece nacque in Italia. Il destino ha voluto che in Romania abbia dovuto tornare proprio per giocarsi, con la nazionale, l’accesso a questi Mondiali: è la terra in cui riposa un fratello morto in tenera età e che si chiamava proprio come lui, Romeo. La Romania è anche la patria in cui vive metà della sua famiglia, persone che lui non ha mai conosciuto e delle quali non sa nulla.
Sacchetti non è uomo che si lasci impressionare dalle malelingue. Quando ha scelto, nella prima scrematura, di lasciare a casa a Pietro Aradori, il giocatore ha avuto una crisi di nervi. E tra le accuse lanciate c’era anche quella che in nazionale ci fossero raccomandati. Il riferimento era chiaro, ma non è per quello che Meo ha deciso poi di tagliare proprio il Brian. «Sono scelte chiare», ha spiegato il coach. «Loro due ci hanno dato una grossa mano quando Gallinari e Datome erano fuori per infortunio: ora che si sono ripresi, le mie decisioni sono diventate quasi obbligate. Sicuramente sono le più giuste per la nostra squadra». In effetti, avere come allenatore proprio padre non deve essere facile, specie se il padre ha il temperamento di Sacchetti. «Con mio figlio sono sempre stato più duro che non con gli altri giocatori. Non gli ho mai regalato nulla e, anzi, a volte gli ho riconosciuto meno meriti di quanti sarebbe stato giusto fargli». Il problema semmai è un altro, ha lasciato intendere il coach: «È come spiegarlo a mia moglie. Devo mettere in conto qualche problema con lei…». Quello che è certo, è che papà Sacchetti oltre ad essere un grande allenatore di basket, è un ottimo allenatore per tutti i papà. E oggi quanto bisogno c’è di allenatori alla vita come lui…