Saif condannato a morte La triste fine dei Gheddafi
Il 19 ottobre 2011 venne ucciso nei dintorni di Sirte il colonnello Muhammar Gheddafi, padrone incontrastato della Libia per 42 anni. Da quel giorno la situazione nel Paese è progressivamente peggiorata: si è caduti nell’abisso della guerra civile e si è creato un vuoto di potere difficile da colmare. Oggi il figlio Saif al Islam, secondogenito del rais, ma primo nella linea di discendenza politica - che da Lorenzo Cremonesi sul Corriere della Sera qualche giorno fa era ritenuto essere il “possibile attore dietro le quinte del futuro politico libico” -, è stato condannato alla pena capitale. Saif verrà fucilato perché il tribunale di Tripoli lo ha riconosciuto colpevole di crimini contro l’umanità in relazione alla repressione delle proteste pacifiche del 2011 contro il governo del padre. Lo stesso tribunale ha condannato a morte anche Abdullah al-Senussi, capo dell’intelligence di Gheddafi, e il suo ex primo ministro, Baghdadi al-Mahmoudi. Il verdetto su Saif è stato reso in contumacia perché il figlio dell’ex leader libico è detenuto da un ex gruppo di ribelli nella regione di Zintan che si oppone al governo di Tripoli, non riconosciuto dalle potenze mondiali. Ma il ministro della Giustizia di Tobruk, il cui governo è riconosciuto a livello internazionale, ha affermato di non riconoscere la sentenza, ritenendo il tribunale di Tripoli «illegittimo». Dopo aver saputo della condanna a morte, l’ufficio diritti umani delle Nazioni Unite si è detto «profondamente turbato».
L’arresto nel novembre 2011. Saif al Islam venne arrestato dalla brigata Abu Baker al-Siddiq, che lo catturò mentre stava cercando di scappare in Algeria, come gran parte della sua famiglia, dopo il tentativo fallito di guidare la resistenza all morte del padre. Rimase in isolamento nel carcere di Zintan per i primi 21 mesi, senza avere la possibilità di vedere un avvocato.
Da colomba a falco. Venne soprannominato “il Gheddafi dai due volti” perché dopo anni in cui era considerato il figlio moderato del dittatore, quello colto e filantropo, quando in Libia cominciò a soffiare il vento della primavera araba si trasformò nel combattente che incitava i lealisti a reprimere ogni ribellione. In Saif erano riposte le speranze dei riformisti, che vedevano in lui il leader della svolta democratica libica. Invece lui, il cui nome significa “la spada dell’islam”, di fronte alla possibilità di vedere tramontare le sue ambizioni di successione, tradì ogni speranza di cambiamento e si schierò col padre. Durante i giorni della guerra civile e dei bombardamenti della Nato divenne il portavoce del governo.
Prigioniero conteso. Gli oppositori si legarono al dito questa sua scelta, e quando venne catturato, i rivoltosi chiesero la sua testa. Le cose nel Paese col tempo sono cambiate e le varie milizie hanno aderito chi al governo laico di Tobruk, chi alla Fratellanza musulmana. Oggi, le brigate che lo hanno catturato e lo detengono si rifiutano di consegnarlo al governo centrale, e il congresso di Tripoli ha respinto la richiesta di estradizione presentata nei suoi confronti dal Tribunale internazionale dell'Aja, che ha emesso contro di lui un mandato di cattura per crimini contro l’umanità.
Difensore dei diritti umani a Londra. Il curriculum di Saif al Islam vanta un master a Vienna e un discusso dottorato alla London School of Economics. A Londra, dove possiede un appartamento da 12 milioni di euro, divenne presidente di una fondazione dedicata ai diritti umani e alla libertà di stampa, e diede un contributo decisivo all’uscita del suo Paese dall’isolamento internazionale. Fu lui a negoziare il fermo dei programmi per le armi nucleari e chimiche, che portò alla fine delle sanzioni contro la Libia. Venne attribuito a lui anche il merito della liberazione, da parte della giustizia britannica, di Abdel al Megrahi, condannato per la strage di Lockerbie e rientrato a Tripoli come un eroe.
Saif al-Arab, ucciso in un raid Nato.
Saadi, ex calciatore. Detenuto in Libia.
Muhammad, primogenito del raìs. Rifugiato in Oman.
Kamis, detto il macellaio. Ucciso.
Safia Farkash, vedova di Gheddafi. Rifugiata in Oman.
Aisha, figlia di Gheddafi. Rifugiata in Oman.
Gli altri del clan. Ma se Saif è in carcere dal 2011, che fine hanno fatto gli altri membri del clan Gheddafi? Sebbene in prigione, Saif è l’unico della famiglia, insieme all’altro fratello Saadi, a trovarsi ancora in patria. Qualcuno è stato ucciso, come Saif al Arab, Mutassim, quello dei festini hard a Milano, e Khamis, detto il macellaio. Altri sono in carcere, altri in esilio.
Muhammad. Primogenito del Colonnello e anche l'unico figlio avuto dalla prima moglie Fatima. Faceva l'imprenditore ed era presidente del Comitato olimpico libico. Dopo il crollo si è rifugiato in Algeria. Insieme a lui, nell’agosto 2011 in piena guerra civile, scapparono altri membri della famiglia, in primis la seconda moglie Safiya, la donna ungherese e cristiana che ha sempre faticato a imparare l’arabo. Al secolo si chiama Zsofia Farkas. Il colonnello la conobbe negli anni ’50 all’Accademia Militare di Mostar, in ex-Jugoslavia, dove lei insegnava e lui studiava. Se ne innamorò, ripudiò la prima moglie, la sposò, le cambiò nome e le creò una biografia dalle origini aristocratiche arabe.
Hannibal e Aisha. Insieme a Safiya, scappano in Algeria anche Hannibal ed Aisha. Il primo famoso per essere stato arrestato nel 2008 in un hotel di Ginevra dopo aver picchiato due domestici, fatto che provocò una crisi diplomatica tra Libia e Svizzera, e la seconda, unica figlia femmina, famosa per essere un avvocato che tra gli altri difese Saddam Hussein. Aisha, la preferita del Rais, per la sua bellezza e la vaga somiglianza con la modella, venne soprannominata la Claudia Schiffer d'Arabia. Ha sposato un cugino di suo padre e pare che tre giorni dopo il suo arrivo in Algeria sia diventata mamma. A Safiya, Hannibal, Muhammad e Aisha, l’Oman nel 2013 ha concesso asilo politico per ragioni umanitarie.
Saadi, il calciatore. In Italia il figlio più famoso del Colonnello è Saadi, il terzogenito che militò nel campionato di calcio italiano con il Perugia di Luciano Gaucci. Alla fine degli anni ‘90, Saadi venne designato presidente della federazione libica di calcio. Non solo: era anche proprietario, manager e giocatore (ovviamente con la fascia di capitano) dell’al-Ahly Tripoli, nonché della nazionale. Nel 2003 è stato il primo calciatore libico a mettere piede, per soli 15 minuti contro la Juventus di cui era tifoso, sui campi italiani. Vestì le maglie di Perugia, Udinese e Sampdoria. Saadi è stato azionista al 7% della Juventus e al 33% della Triestina. Aveva anche stipulato un accordo pluriennale di collaborazione commerciale con la Lazio. Oggi Saadi è finito a processo con l’accusa di aver ucciso nel 2006 un calciatore libico. È tornato in Libia, nel carcere di Tripoli, dopo che il Niger, che dal 2011 gli dava asilo politico, lo ha estradato.