Lo sciopero dei benzinai

La storia delle nostre sciagure raccontata dalle accise

La storia delle nostre sciagure raccontata dalle accise
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La spia della riserva lampeggia minacciosa. Affrettarsi: da domani, sabato 14, inizia uno sciopero di 4 giorni degli impianti self-service nei distributori di benzina. Mercoledì 18 giugno – quinto e ultimo giorno della manifestazione – anche le pompe “servito” resteranno chiuse. Lo sciopero è stato indetto dalle tre sigle sindacali Faib Confesercenti, Fegica Cisl e Figisc/Anisa Confcommercio per protestare contro la minaccia di un ulteriore aumento del prezzo della benzina. Di questo rincaro i gestori non beneficeranno in alcun modo, perché esso è dovuto esclusivamente all’introduzione di nuove accise, imposte erariali che non dipendono dall’andamento del mercato petrolifero. Prevedono, anzi, i gestori di perderci qualcosa perché l’aumento stimato di 1,5 centesimi al litro indurrà gli automobilisti a ridurre ancora l’uso del mezzo.
Ma cosa paghiamo quando facciamo il pieno? Il prezzo della benzina si compone di tre elementi fondamentali: il prezzo del combustibile alla pompa, l’IVA e le accise. Il primo è stabilito dalle aziende venditrici di benzina. Comprende il ricarico sul prezzo del carburante, i costi logistici di stoccaggio e trasporto e, infine, il guadagno dei gestori della pompa. È il fattore che più degli altri risente delle vicende internazionali, e questo spiega una parte degli sbalzi improvvisi del prezzo della benzina negli ultimi anni: le crisi politiche, sociali ed economiche che hanno colpito ultimamente i paesi arabi – i principali produttori di petrolio al mondo – hanno avuto come conseguenza un inevitabile lievitare dei costi dell’intero comparto. Ma entrano nel computo anche –  e forse più – i complicati meccanismi finanziari che regolano il mercato mondiale del greggio. In secondo luogo l’IVA, si diceva. È un’imposta che colpisce qualunque trasferimento di beni o fornitura di servizi che comporti un valore aggiunto. Per quanto riguarda la benzina, l’IVA dovrebbe essere pagata dall’impresa che eroga il carburante. Di fatto questo costo viene poi scaricato su chi usufruisce del servizio, cioè su chi va a fare benzina. È un’imposta, quella dell’IVA, su cui lo Stato ha un potere decisionale quasi assoluto. Si capisce come le sue variazioni stiano in rapporto con la determinazione a incentivare o disincentivare il consumo di un determinato bene. Ma, essendo la benzina qualcosa di cui, per ovvi motivi, difficilmente si può fare a meno, l’IVA sul carburante è sempre la prima –  in caso di difficoltà – a subire un aumento, perché lo Stato sa che potrà contare su una maggior quantità di denaro senza rischiare di perdere un numero significativo di consumatori. In terzo luogo le accise, ovvero imposte che nascono, in genere, per coprire i costi di un problema immaginato come temporaneo. Per questo sono dette “di scopo”. Nel nostro Paese il problema maggiore delle accise è costituito dal fatto che, pur essendo di natura dichiaratamente provvisoria, di fatto si rivelano eterne, anche in virtù del fatto che, prese una per una, sembrano davvero piccola cosa. Tra le altre, le accise che il consumatore italiano paga su un litro di benzina, ad oggi sono così suddivise: - 0,001 euro per la guerra di Abissinia del 1935; - 0,007 euro per la crisi di Suez del 1956; - 0,005 euro per il disastro del Vajont del 1963; - 0,005 euro per l’alluvione di Firenze del 1966; - 0,005 euro per il terremoto del Belice del 1968; - 0,051 euro per il terremoto del Friuli del 1976; - 0,039 euro per il terremoto dell’Irpinia del 1980; - 0,106 euro per la missione in Libano del 1983; - 0,011 euro per la missione in Bosnia del 1996; - 0,020 euro per il rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri del 2004; - 0,092 euro per il Fondo destinato allo spettacolo; - 0,04 euro per la guerra in Libia del 2011; - 0,089 euro per le alluvioni in Liguria e Toscana del 2011; - 0,099 euro derivanti dal Decreto Salva Italia del Governo Monti; - 0,02 euro per il terremoto in Emilia del 2012. A partire dal 1° marzo scorso, a seguito del cosiddetto “Decreto del Fare” (poi Legge 9 agosto 2013, n. 98) le accise complessive sulla benzina sono passate da 728,40 a 730,80 euro per mille litri (da 0,728 a 0,730 /litro), e per il gasolio da 617,40 a 619,80 euro, sempre per mille litri (da 0,617 a 0,620 /litro). Il 1° gennaio era già aumentata (da 750 a 787,81 per mille chilogrammi) l’imposta di consumo sugli oli lubrificanti. Considerando che la somma complessiva delle accise risulta essere pari a poco meno della metà del prezzo finale della benzina, si capisce come lo Stato non abbia alcun interesse ad eliminare neanche quelle che risultano oggi abbastanza ridicole. Sarebbe però importante che qualcuno ci dicesse, per esempio, dove vanno realmente a finire le somme originariamente destinate a coprire le guerre contro il negus Selassié.

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