Se potete, statevene al caldino Il freddo fa malissimo al cuore
I più previdenti e tempestivi hanno già fatto il cambio degli armadi. E, se volete un buon consiglio, abituatevi a tenere alla mano soprattutto indumenti pesanti. Perché d’inverno, o comunque quando le temperature si abbassano, non è sufficiente vestirsi a cipolla, è necessario soprattutto scegliere gli indumenti più caldi. Almeno se si desidera proteggere la salute del cuore. Due studi internazionali, importanti per numeri e risultati, presentati a Londra in occasione del Congresso della Società Europea di Cardiologia (ESC), dimostrerebbero che il freddo aumenta sensibilmente il rischio di infarto e di ictus. Dal quale però sembra possibile mettersi al riparo.
Studio nr. 1
Lo studio è canadese ed è stato condotto dall’Università di Manitoba di Winnipeg. Non è un caso che sia stata scelta proprio questa città: essa è infatti nota per il suo clima estremamente rigido di inverso e terribilmente caldo d’estate. Partendo da questa attestazione metereologica, i ricercatori hanno voluto quantizzare in che misura la colonnina di mercurio potesse influenzare l’insorgenza di un infarto, in particolare di quello definito STEMI, il più pericoloso, che causa la rottura improvvisa di una placca delle coronarie con esiti letali tre volte superiori rispetto a un infarto normale. Così, i ricercatori hanno esaminato i dati riguardanti le temperature massime, medie e minime fornite dall’Environtental Canda, relative a un periodo di sei anni, cercando però una apparentemente strana relazione: ovvero il rapporto esistente tra l’insorgenza di un infarto e il grado della temperatura il giorno precedente e due giorni prima dell’evento cardiaco.
I risultati sono stati sorprendenti, non solo dal punto di vista meteorologico. È stato possibile scoprire che, nella città di Winnipeg, in 684 giorni le massime diurne sono state inferiori allo zero, per il 38 percento dei giorni considerati comprese tra 0° e 20° e nel restante 31 percento superiori a 20°, ma soprattutto è emerso che il rischio di infarto - e qui sta la prima novità dello studio, ovvero la precisa ed esatta quantificazione del freddo - aumentava di oltre il 7 percento per ogni riduzione di 10 gradi di temperatura. Tanto che, nell’arco dei sei anni esaminati, oltre 1.800 infarti si erano verificati proprio nelle giornate in cui il mercurio, nei termometri, segnava gradi anche molto al di sotto dello 0. Ovvero, a queste temperature, gli infarti sono risultati pari a 0,94/giorno, rispetto allo 0,78/giorno in giornate in cui la temperatura era di qualche grado maggiore.
Ma non solo: visto che il freddo si era rivelato un indice predittivo di infarto importante, gli studi si sono concentrati su questo aspetto rivelando che – ecco il secondo merito dello studio canadese - grazie alle previsioni meteo, era possibile arginare l’ondata di infarti con ben due giorni di anticipo. Dati i risultati preliminari emersi dallo studio, i ricercatori spingono ora perché vengano allocate risorse per organizzare una risposta adeguata a questo prevedibile rischio di infarto stagionale, ovvero attuare qualche misura e strategia terapeutica per attenuare gli effetti del clima sul rischio di infarto.
Studio nr. 2
Il secondo studio è stato condotto in tutt’altra parte della terra, a Taiwan, dall’Università cittadina, ed ha portato alle medesime conclusioni. Vale a dire che il freddo è dannoso al cuore, specie per chi soffre di fibrillazione atriale che, mano a mano che la temperatura cala, potrebbe vedere aumentare il rischio di ictus trombo-embolico. Per dimostrare questa asserzione, i ricercatori del Taipei Veterans General Hospital e National Yang-Ming Universitydi Taiwan hanno esaminato i dati contenuti nel National Health Insurance Research Database, relativi a oltre 289mila pazienti con diagnosi di fibrillazione atriale occorsa tra il 2000 e 2011. Poi hanno confrontato questi dati con le temperature medie di ogni mese e stagionali di sei regioni di Taiwan, fornite dal Central Weather Bureau.
Ancora una volta, il freddo ha fatto la sua parte, perché fra tutti i fibrillati, nell’arco di tre anni esaminati, si sono registrati quasi 35mila casi di ictus ischemici coincidenti proprio con i mesi più freddi e comunque con un rischio maggiorato in inverno - superiore anche del 19 percento - rispetto alla primavera, in cui i tassi di rischio si aggiravano attorno al 10 percento, mentre non vi erano significative differenze fra autunno e estate, in cui le percentuali di eventi erano comunque minori. In particolare, lo studio ha messo in luce che una riduzione della temperatura giornaliera di 5 gradi, nei 14 giorni precedenti l’ictus, poteva associarsi ad un rischio di ictus aumentato del 13 percento. Ma non solo. È risultato anche evidente che questo era dipendente da alcune alterazioni della coagulazione del sangue, in particolare delle concentrazioni di fibrinogeno e del fattore VII, i quali – favoriti dal clima freddo – indurrebbero la formazione di coaguli nell’atrio sinistro, aumentando il rischio di ictus specie nei pazienti fibrillanti. Tanto che con una la temperatura sotto i 20°, il rischio di ictus ischemico risultava significativamente più elevato rispetto a quando le medie giornaliere erano sopra i 30°, probabilmente perché con le calde temperature aumenta anche a coagulabilità e la viscosità del plasma.
In funzione della possibilità di prevedere, anche in questo caso con un buon anticipo, la comparsa di ictus, i ricercatori stanno ora studiando alcune misure preventive, come ad esempio arrivare a un’anticoagulazione adeguata e a ridurre l’esposizione al freddo, riscaldando bene le case e indossando indumenti caldi. Noi cominciano dai maglioni, sciarpe, giacche, camicie e abiti pesanti, per il resto si vedrà.