Storia di uno che ci ha provato

Se volete lavorare per Apple questo è l'articolo che fa per voi

Se volete lavorare per Apple questo è l'articolo che fa per voi
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Lavorare in Apple è un sogno che molti inseguono, mentre il mito e il fascino della mela morsicata non fanno che accrescere anno dopo anno. Sono tantissime le candidature che quest’azienda riceve ogni giorno e chiunque farebbe carte false pur di accaparrarsi un posto anche solo da addetto alle vendite all’interno di un Apple Store. Ma come si fa ad essere ingaggiati dalla famosa azienda di Cupertino? E come funzionano i colloqui di selezione? Un articolo di Business Insider riprende un post scritto da un giovane designer dopo esser stato a colloquio in casa Apple. Di seguito ne riproponiamo i contenuti più interessanti. E scoprite com’è andata a finire.

Chi era il candidato e i primi contatti. Luis Abreu è un designer UX (user experience), cioè qualcuno che deve monitorare con particolare attenzione non soltanto le prestazioni di ciò che viene prodotto, ma l’esperienza che il consumatore vivrà con l’oggetto in questione. Appassionato e grande studioso del mondo software di Apple, viene contattato dalla nota azienda, che gli offre un colloquio di lavoro: un’occasione davvero ghiotta che il designer non si lascia certo sfuggire.

E così inizia il lungo (interminabile) processo di selezione fatto di colloqui, incontri e tantissime domande. Tutto comincia con alcune chiamate di trenta minuti ciascuna in cui gli viene spiegato come sarebbero funzionati i colloqui successivi. Tra queste iniziali telefonate ne riceve una anche dal recruiter tecnico interno che lo invita ad esporgli i contenuti dei lavori da lui svolti fino a quel momento.

 

 

I colloqui. Poi iniziano le interviste FaceTime in cui gli vengono rivolte domande sul suo lavoro da designer, al termine delle quali c’era sempre un question time di 5 minuti. «Tre settimane dopo aver parlato per un totale di circa due ore con possibili futuri membri del team, sono stato invitato per un nuovo ciclo di interviste presso la sede di Apple». Alla fine di gennaio scorso, Luis Abreu è quindi volato a Cupertino per cominciare i colloqui di persona.

Nel complesso le interviste sono durate sei ore e hanno coinvolto dodici persone. «Il tono era informale e tutti erano cordiali. Non vorrei dire che gli incontri siano stati duri, anche se ogni tanto venivo bombardato di domande, una dopo l’atra». Ad un certo momento è stato affrontato il tema delle scienze cognitive e gli è stata caldamente consigliata la lettura del testo The Tree of Knowledge, «da un editor vestito come Steve Jobs, che ha affermato di aver lasciato Apple quando Steve è stato estromesso nel 1985, per poi essere nuovamente assunto nel 1996». Ha poi pranzato con il team lead della sezione e la sua giornata in Apple si è conclusa con un nuovo colloquio con il reclutatore interno. I giochi, a questo punto sembravano ormai fatti. Una selezione lunga quanto un’odissea lo aveva fatto quantomeno sperare in un risultato positivo. E invece no, dopo solo una settimana riceve una mail che lo informava di non esser stato preso: tanta la delusione.

 

 

Come si lavora all’interno di Apple. Lavorare in casa Apple, a discapito di quello che si potrebbe pensare, non è proprio un’esperienza tutta rose e fiori. Anzi. A rivelarlo è un articolo del Corriere di qualche mese fa, dove sono riportati numerosi racconti di alcuni ex impiegati dell’azienda di Cupertino. Primo fattore negativo: sacrificare il rapporto con gli altri esseri umani. «Il mio team si trovava in un edificio distaccato a Vallco Parkway, a un paio di miglia. Eravamo separati dagli altri interni e il posto era un palazzo di bui corridoi, con soffitti altissimi, non c’era nemmeno un bar. Ognuno di noi aveva un ufficio privato e potevo passare un intero giorno senza rivolgere la parola agli altri. Va bene quando ci si deve concentrare sul lavoro, ma la sensazione è spesso di solitudine».

Secondo problema: essere sempre reperibili. «Si lavora spesso la notte e si dorme pochissimo. Devi essere disponibile 24 ore al giorno, sette giorni su sette». Terzo fattore: massima segretezza. Di tutto quello che succede nell’immenso palazzo di Cupertino «non se ne deve far parola con nessuno. Nessuno deve sapere». E ancora: «Non potevo raccontare nulla a mia moglie. Lavoravo fino a tarda notte e lei non sapeva cosa facevo. Se viaggiavo a Manchester per collaborare coi colleghi inglesi, dovevo vietarle di seguirmi». E allora, aspiranti impiegati Apple, siete disposti a sopportare questo inflessibile tenore di vita? O il gioco non vale la candela?

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