Sfrattato dall'orto sociale alla Celadina, che era la sua vita, il Piero è rimasto senza parole
Il nuovo regolamento del Comune privilegia il turnover e i giovani con basso reddito (come se questa passione fosse un lavoro!). Una decisione incomprensibile
di Matteo Rizzi
«Queste sono fave. Qui non le pianta nessuno perché non sono tanto conosciute da noi. Ma io sono marchigiano». Nermino Maccaroni è uno degli storici assegnatari degli orti di via Pizzo Redorta alla Celadina, che nella mattinata di lunedì hanno dovuto consegnare le chiavi a un funzionario comunale. Uno sfratto che si è consumato in un clima pacifico, ma molto amaro.
Il motivo è il nuovo regolamento del Comune, approvato lo scorso settembre, che ha determinato nuovi criteri di assegnazione degli orti favorendo giovani, persone con redditi più bassi, diversamente abili o persone con figli, sfavorendo di conseguenza gli attuali assegnatari, tutti pensionati.
La concessione degli orti a Nermino e agli altri pensionati era scaduta a fine 2019 e prorogata di un anno a causa dell’emergenza Covid: l’attuale concessione era stata siglata nel 2014 (un contratto di tre anni più tre, rinnovato nel 2017), ma molti degli assegnatari curavano l’orto da tanto tempo prima. E per loro l’orto era molto più di un semplice spazio da coltivare: «Era il nostro punto di ritrovo - racconta Maccaroni -. Si veniva qua per stare insieme. Ci sono persone che vivevano per questo orto da decenni, che passavano qua tutto il giorno e che hanno reagito malissimo a questo sfratto».
Come Piero Mandragora, che oltre trent’anni fa era stato tra i primi a trasformare i terreni di via Pizzo Redorta in orti, quando ancora tutta la zona era proprietà privata. In seguito a cause giuridiche nei confronti della ditta proprietaria dei terreni, che aveva ridotto le coltivazioni a macerie, gli orti erano stati riassegnati dalla circoscrizione.
Piero Mandragora era tra questi primi assegnatari. Fatica persino a raccontare la sua storia e per lui deve parlare il genero: «È la seconda mazzata nel giro di pochi mesi. Ha perso sua moglie da poco, passava tutte le giornate all’orto». La storia di Piero è al centro delle premure di tutti gli altri assegnatari, sia perché il dolore di Piero è visibile nel suo sguardo perso e confuso di fronte a una situazione che, dal suo punto di vista, è al contempo psicologicamente devastante e paradossale, sia perché Piero è la prova vivente di quello che succede quando si prendono decisioni senza interrogarsi sui modi e trascurando le persone coinvolte: e queste sono le principali accuse che gli ormai ex assegnatari rivolgono al Comune.
Nermino, ad esempio, spiega: «Io non ho problemi a consegnare le chiavi, ma ci sono persone, come Piero, che rischiano di compromettersi seriamente a livello di salute. Non si fa così». Gli fa eco Irma Travaglini, altra storica assegnataria: «Sono stati scorretti, non si possono prendere decisioni in questo modo senza confrontarsi con le persone coinvolte e senza conoscere le situazione. Anche questa volta dal Comune non si sono fatti sentire per un anno e sono saltati fuori poche settimane fa per darci la data dello sfratto. Noi eravamo disponibili a parlare, a consegnare le chiavi, persino a dare una mano per agevolare la transizione, purché avessero tenuto conto di certi casi particolari. Non c’è mai stato interesse verso la nostra situazione, fino a che non si è trattato di mandarci via».