redditività e sostenibilità

Si chiama quipu, è la quinoa italiana

Si chiama quipu, è la quinoa italiana
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Si chiamerà “quipu” e arriverà presto sulle nostre tavole. Il nome dovrebbe stuzzicare la curiosità, infatti altro non è altro che la quinoa, il consumatissimo pseudocereale privo di glutine, apprezzato anche nella dieta mediterranea, ma con un gustoso aumento del 23 per cento, secondo l’ultimo rapporto Coop del 2018. La novità è la produzione totalmente “Made in Italy” di questo seme: infatti quipu nasce dopo sette anni di ricerca scientifica dell’Università di Firenze, del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agrarie, Alimentari, Ambientali e Forestali (DAGRI), nell’ambito del programma “FAO-UNA-PERU American and European Test of Quinoa (Chenopodium quinoa)”, che si è acquisita la proprietà depositando i diritti presso il Community Plant Variety Office che ne consente così anche la commercializzazione, a norma e regola.

 

 

Tutto è iniziato nel 1999. Da quando cioè l’Ateneo fiorentino si è messo all’opera con studi dedicati e condotti al “Centro per il Collaudo e il Trasferimento dell’Innovazione” di Terre Regionali Toscane, a Cesa, in provincia di Arezzo, che hanno portato alla luce quipu. La prima varietà di quinoa italiana, adattata alle condizioni climatiche locali, pur preservando sapore e preziose proprietà nutrizionali originarie. Una novità "selettiva", infatti le altre qualità di quinoa presenti e coltivate nel nostro Paese, già disponibili sul mercato, sono state importate dal Nord Europa, non create in loco.

La manipolazione genetica. Non è sempre malvagia o dannosa. Infatti, nel caso della quinoa “quipu” il miglioramento genetico ha permesso di contenere diverse rischi legati, ad esempio, all’incompleta maturazione cui si associa una alterazione delle qualità nutrizionali della pianta e/o una maggiore difficoltà delle operazioni di post raccolta. Eventi evitati dai ricercatori italiani con la creazione di una quinoa dalle caratteristiche “speciali” come un ciclo precoce di maturazione, una buona tolleranza alla siccità, una elevata sostenibilità, la facilità di adattamento alle territorialità italiane rispetto al luogo originario di nascita sulle Ande. Caratteristiche ottenute grazie all’incrocio di varietà originarie dell’America Latina, tutte linee provenienti da aree costiere del Cile e non di altura, che ne hanno premesso l’introduzione fra le colture in semina di fine inverno, ovvero nelle rotazioni degli ordinamenti colturali non irrigui. Con indiscussi vantaggi.

 

 

Alta redditività e sostenibilità. Sono le due migliori proprietà della quinoa italiana. Infatti le caratteristiche indotte al seme richiedono il 40 per cento di acqua in meno rispetto ad altre colture, come il mais ad esempio, a beneficio dunque di una più alta soglia di tollerabilità alla siccità. Quipu rappresenta così una alterativa interessante al business degli agricoltori italiani, anche in funzione del costo piuttosto basso dei cereali. Cui si aggiunge il fattore salute: da un lato le elevate proprietà nutrizionali della quinoa, specie per l’apporto proteico, dall’altro il fatto che ad oggi i fitofarmaci registrati per questa coltura sono pressoché inesistenti. Ovvero è possibile intervenire solo con mezzi meccanici o prodotti consentiti in regime biologico, dove il bio si vende meglio e offre un maggior guadagno al produttore.

Filiera corta e prodotto “etico”. Sono due altri plus di quipu: la filiera corta rende il prodotto meglio controllabile lungo tutto il processo produttivo, dalla semina alla raccolta e commercializzazione, mentre la coltivazione sul suolo italiano permette di tutelare e abbassare lo sfruttamento del globo. Preservando ad esempio l’America Latina dai disastri ecologici che l’"amor di quinoa" ha già comportato, aumentandone i costi di mercato locale anche del 30-35 per cento. Rendendo così inavvicinabile questo prodotto per la fetta più povera della popolazione, al punto che un hamburger risulterebbe più economico di un chilo di quinoa. Alimento che sarebbe invece importante e salutare da acquistare e consumare, specie per i bambini e gli anziani bisognosi di un maggiore apporto proteico. Un contesto “economico” che ha richiesto di espandere la produzione di quinoa in aree dell’America Latina inizialmente non destinate a questa coltivazione a danno di altre economie, come la pastorizia, e sensibili conseguenze agronomiche soprattutto per Bolivia e Perù, i principali produttori di quinona. Dunque chapeau ai ricercatori fiorentini che hanno pensato anche al bene del pianeta.

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