Si fosse ripresentato Pisapia... A Milano c'è nebiùn sul sindaco

Si fosse ripresentato Giuliano Pisapia sarebbero state elezioni senza storia. Ma Giuliano Pisapia, vincitore a sorpresa cinque anni fa, ha deciso di mettere fine all’esperienza di sindaco di Milano. Così attorno al destino Palazzo Marino si è scatenata una danza di aspiranti candidati in cui nessuno sa più raccapezzarsi. Prima di sapere chi vincerà, c’è ancora da scoprire chi correrà. Infatti il centrodestra è ancora al palo, dovendo scegliere candidati che hanno più “contro” che “pro”. Mentre il centrosinistra si è legato mani e piedi ai destini delle primarie che si terranno il 7 febbraio. Questa data per ora è l’unico punto fermo nella corsa al poltrona di sindaco della città più ricca d’Italia, la decima per Pil a livello globale, quella che in questo ultimo decennio ha avuto una tale accelerazione da renderla qualcosa a parte rispetto al resto dell’Italia: non a caso è stata definita “città-stato” da un attento osservatore come Marco Vitale. Quindi chi la governerà non sarà alla testa di un’amministrazione municipale, ma di un’entità equivalente a un piccolo ma potente Stato.
La partita insomma è grossa. Ed è decisamente una partita nazionale, anche perché l’altra corsa a sindaco, quella di Roma, è segnata: per Pd e centrodestra, dopo le malefatte delle ultime due giunte, sarà impresa disperata strappare il Campidoglio ai 5Stelle.
A Milano invece i 5Stelle sono fuori gioco, perché la città viene da una serie di amministrazioni che ne hanno garantito un grande sviluppo. Il centrodestra ha preparato la strada e vinto la corsa per avere Expo; il centrosinistra lo ha gestito in modo ineccepibile e senza riserve mentali. Per di più la giunta Pisapia, nata su un’onda “movimentista”, in realtà ha scelto un profilo saggio e moderato, sposando scelte “sviluppiste” senza tentennamenti. Il caso della quinta linea di metropolitana (in realtà la M4) di cui sono stati aperti in queste settimane i cantieri, è esemplare. Palazzo Marino ha scavalcato la voce dei vari comitati sorti per scongiurare gli scavi e salvare gli alberi e ha avviato i lavori senza esitazione.
È un efficientismo che mette in difficoltà il centrodestra (l’idea della M4, non a caso, era stata lanciata dalla precedente giunta di Letizia Moratti), sottraendogli contenuti per la campagna elettorale. Per di più per il centrodestra è difficile sceglier il candidato senza sapere chi correrà per la sinistra. Insomma la partita è tutta legata alla consultazione del 7 febbraio. Con le primarie del centrosinistra infatti si scioglieranno molti nodi, ma intanto il percorso di avvicinamento è molto accidentato e rischia di lasciare sul terreno le prime vittime.
Infatti a sorpresa Pisapia ha mischiato le carte candidando Francesca Balzani, sua vice e assessore al Bilancio. La Balzani è candidata della sinistra, proprio come Pierfrancesco Majorino, anche lui assessore, già sceso in campo da molti mesi. Se Majorino non dovesse ritirarsi dalla corsa, per Giuseppe Sala, candidato moderato, le primarie sarebbero una passeggiata, in quanto la sinistra Pd e Sel si troverebbero a disperdere i voti su due candidati. Se invece Majorino si sacrificasse, la partita sarebbe invece più incerta. Ma per il centrodestra un conto è dover confrontarsi con il moderato Sala (partita difficilissima, da giocare solo con un candidato d’attacco, come il direttore del Giornale Alessandro Sallusti); un altro conto è dover sfidare una persona più dichiaratamente di sinistra, come Francesca Balzani. In questo caso un candidato moderato alla Del Debbio avrebbe più chance.
In realtà un dato lascia pensare che i giochi siano già fatti: l’anticipo delle primarie al 7 febbraio favorisce il candidato forte, Giuseppe Sala. Francesca Balzani è brava ma poco nota. E in poco più di un mese di campagna non avrà tempo per recuperare il gap. E allora viene da chiedersi: perché Pisapia l’ha voluta in campo? E perché non ha imposto più tempo per le primarie? Forse perché anche lui sotto sotto pensa che sia Sala l’uomo giusto per continuare il percorso fatto: un percorso che è stato movimentista nei propositi ma moderato ed efficientista nei fatti.