Un'indagine scientifica

Solo gli esseri umani piangono (e le donne più degli uomini)

Solo gli esseri umani piangono (e le donne più degli uomini)
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Secondo i più recenti studi scientifici, le specie animali, mammiferi compresi, tra le funzioni vitali non avrebbero la capacità di piangere. Ad eccezione di qualche fatto raro, come quello scientificamente descritto in una giovane gorilla femmina tenuta in cattività. Dunque il pianto sarebbe solo una prerogativa umana, il cui motivo e meccanismo vengono spiegati in diversi studi: tra i più recenti, uno dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Senese, pubblicato sulla rivista News Ideas in Psychology.

 

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Due tipi di pianto. C’è pianto e pianto. Gli inglesi sembrano saperlo molto bene, a tal punto che per descrivere questa attività hanno a disposizione due verbi: crying e weeping. Due voci verbali che, pur riferite entrambe all’atto del piangere, lo qualificano in maniera differente. Infatti crying viene usato per esprimere un dolore molto acuto, fisico o di rabbia, quello che ad esempio si prova pestandosi un dito con il martello.

L’altro verbo, weeping, ha invece anche una valenza emozionale, espressione del cosiddetto pianto che si accompagna alle lacrime, come quello del neonato o anche quello di gioia della mamma quando stringe tra le braccia il proprio bebè venuto appena alla luce. È il pianto liberatorio, così definito dagli esperti, quando caratterizzato dalle lacrime. Il quale consentirebbe, dopo la sua manifestazione, di sentirsi più leggeri e sollevati, con un peso in meno sul cuore in caso di forte dolore.

 

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L'origine del pianto. Il weeping, a detta degli scienziati, tra cui fisiologi, antropologi, biologi, psicologi e psichiatri che da tempo stanno studiando il fenomeno, avrebbe una origine neuronale. Dipenderebbe cioè da neuroni specchio che si attiverebbero in particolari contesti, quando è necessario trasmettere messaggi, chiaramente, rapidamente e universalmente decifrabili. Il pianto sarebbe dunque un linguaggio non verbale molto potente, riferibile a uno stato emozionale profondo, che scaturisce dagli occhi, organi non a caso definiti lo specchio dell’anima. Ma non è tutto, perché alcune recenti ricerche avrebbero evidenziato nel pianto anche una dimensione acustica. Ovvero sarebbe portatore ed evocatore di un protolinguaggio che stimola il sistema simpatico e governa le corde vocali ad attivarsi una volta che viene superato un certo livello soglia di dolore. Per capire meglio: nel neonato, ad esempio, il pianto acquisterebbe tonalità acute e costanti, cioè con una cadenza ritmica, definita dagli esperti come pianto a sirena. La manifestazione regolare del fenomeno, in determinati contesti, sarebbe dettata da alcune centrali neuronali simili a quelle che regolano la respirazione o la motricità, promuovendo il rilassamento muscolare.

 

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Come funziona il pianto. Qualcosa sul fenomeno è ancora da chiarire, soprattutto come e perché vengono prodotte le lacrime nel cosiddetto pianto liberatorio che allevia lo spirito. A tal proposito qualche teoria esiste già, seppure siano di natura differente, talvolta divergente: alcuni studi ritengono, infatti, che le lacrime siano dovute solo allo schiacciamento del sacco lacrimale, quale semplice conseguenza della contrazione dei muscoli facciali; altri ipotizzano che il meccanismo nasca come fattore purificante per espellere sostanze tossiche fino a ritenere che le lacrime siano utili per umettare le mucose di naso e faringe. Ciò che invece appare certo, trovando il consenso unanime, è che le lacrime una volta che scorrono sul volto rilasciano endorfine, combattendo così stati di stress. Tanto che diverse ricerche avrebbero confermato la capacità del pianto di stabilizzare l’umore, sconsigliando di reprimerlo quando arriva a fior di occhi per non vanificarne i benefici, come sostengono le più recenti teoriche della psicodinamica.

 

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Il pianto è di genere. Se non appartiene esclusivamente alla specie umana femminile, è un dato di fatto che le donne piangono più degli uomini, complice forse anche un fattore ormonale. O retaggi culturali che attribuivano al pianto un valore di debolezza, non consono alla virilità maschile. Invece non è ancora chiaro perché il pianto possa comparire in momenti di gioia, accompagnando ad esempio la felicità o una risata: la spiegazione più lecita e plausibile, attualmente, sembrerebbe che il pianto in queste occasioni sia anticipatore della consapevolezza che lo stato di grazia ha durata fuggevole e passeggera: insomma, sarebbe una sorta di presagio della fine imminente dell’evento lieto. Ma al momento, dicono gli esperti, sono soltanto illazioni.

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