L'allarme di monsignor Bernardito Auza

Stanno sparendo i cristiani in Iraq

Stanno sparendo i cristiani in Iraq
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La situazione è questa: «Solo 25 anni fa c’erano quasi due milioni di cristiani che vivevano in Iraq, mentre oggi se ne contano meno di 500mila». Lo ha detto al Palazzo di Vetro di New York monsignor Bernardito Auza, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, utilizzando dati forniti da Radio Vaticana. Il patriarca caldeo Louis Raphael I Sako - l’equivalente di un nostro vescovo per la comunità cristiana irakena - ha aggiunto: «La Primavera araba ha avuto un impatto negativo per noi cristiani in Iraq», perché ha costretto molti a fuggire dalla loro terra e a rifugiarsi in Paesi confinanti a causa delle violenze dei fondamentalisti islamici. Attualmente questi fuggiaschi sottrattisi alla pulizia etnica si vedono costretti a vivere in centri di accoglienza e campi profughi che non sono molto più sicuri dei luoghi d’origine a motivo dell’aspetto mutevole, fluido, dei teatri di guerra. Ne abbiamo testimonianza ogni giorno.

 

Mideast Iraq Easter

 

L’aspetto più impressionante della vicenda è dato dal confronto con la reazione che cifre come le precedenti susciterebbero in altri ambiti di attualità. Se, ad esempio, si dicesse che di due milioni di capi di bestiame è rimasto in vita solo un quarto, se di due milioni di abeti sono sopravvissuti ad un incendio solo il 25 percento non ci sarebbe organo di stampa, televisione o blog che non griderebbero alla catastrofe. Il fatto che quei numeri si applichino a cristiani, cioè ad una popolazione residente in loco da duemila anni, non mobilita invece nessuno. Leggendo i resoconti si ha l’impressione che tanto monsignor Auza quanto il patriarca Sako abbiano parlato ad una platea di sordi che hanno fatto sì mostra di riconoscere la nobiltà dei loro interventi, ma si sono al contempo trincerati nella consapevolezza di non poter dare alcun seguito alle loro richieste di intervento.

D’altra parte, che interesse avrebbero all’ONU dal ritorno di un milione e mezzo di persone di etnie e religioni diverse in una regione che sarebbe - lo ammettano - molto più governabile se fosse abitata soltanto da lucertole, scorpioni e dipendenti di una - al massimo due - compagnie petrolifere, meglio ancora se occidentali? Ovviamente nessuno, e quindi la regione d’origine dell’ebraismo e del cristianesimo - Abramo proveniva da Ur dei Caldei, come il patriarca Sako - non solo si trova oggi a ospitare gli ultimi e sparuti eredi dell’una e dell’altra religione, ma deve anche fronteggiare un disinteresse strutturale al fatto che le cose possano tornare ad essere come furono nel breve periodo intercorso tra gli accordi Sikes-Picot (1916) e il disfacimento dell’Impero Ottomano, qualche anno dopo.

 

Mideast Iraq Yazidi New Year Photo Gallery

 

Da quando il giovane Bush ebbe la smagliante idea di collocare la spedizione in Iraq nell’ambito delle guerre di religione (che probabilmente non aveva studiato bene), il destino dei cristiani - ossia dei bianchi europei o nordamericani - in quelle terre fu segnato per sempre: non ce ne rimarrà uno. Anche perché, secondo uno studio del Pew Research Center di Washington, riportato da huffingtonpost.it, «nel corso dei prossimi trentacinque anni l’Islam crescerà più in fretta di qualsiasi altra grande religione — cioè del 73 percento — e il numero dei musulmani nel mondo quasi raggiungerà quello dei cristiani, anche se quest’ultimo resterà ancora il “gregge” più folto». Almeno fino al 2070, dicono.

Sempre tenendo presente la riserva di rito rispetto a simili proiezioni, ossia ammettendo da un lato che le tendenze attuali si confermino nel corso degli anni e non mettendo in conto, dall’altro, che un qualche ‘cigno nero' si presenti a modificarne radicalmente il percorso. Il collare rigido per i cavalli contribuì, attorno all’anno mille, a mutare l’aspetto delle foreste europee almeno quanto la macchina a vapore modificò il paesaggio continentale a partire dalla fine del Settecento. Non è detto che una nuova tecnologia non possa incidere allo stesso modo sul futuro del nostro pianeta da qui a qualche anno. Se ciò non dovesse verificarsi, allora la prevista esplosione demografica globale dell’Islam potrebbe o arrestarsi o subire un’accelerazione ancor più forte che nel presente. Attualmente, infatti, l’islam può contare sulla «sua “popolazione relativamente giovane, [con] il più alto tasso di fertilità a livello internazionale”, che a fronte di una prospettata crescita del 35 per cento degli abitanti del pianeta (a quanto pare arriveremo a quota 9,3 miliardi), ne vedrebbe aumentare i devoti di un vertiginoso 73 percento».

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(AP Photo/Karim Kadim)

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(AP Photo/Karim Kadim)

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(AP Photo/Karim Kadim)

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(AP Photo/Karim Kadim)

A fronte di simili incrementi il fatto che anche il numero dei cristiani risulti complessivamente in crescita non cambia di molto il quadro, anche tenuto conto del fatto che, quando si trovano a vivere in società capitalistiche avanzate, anche le famiglie mussulmane riducono drasticamente il numero di figli. I cristiani, che hanno già raggiunto questa situazione, crescono infatti allo stesso ritmo della popolazione mondiale generica. Il loro aumento alla nascita si scontra con la tendenza all’abbandono nell’età dell’adolescenza o nelle successive: attualmente sono circa 106 milioni i cristiani che se ne vanno a fronte dei 40 milioni di conversioni “in entrata”. Detto in cifre di scambi commerciali, la bilancia è a loro pesante sfavore. Questo dato difficilmente subirà variazioni percentuali significative per la ragione che mentre dall’islam non si riesce a fuggire, per ragioni anche di ordine sociale, il cristianesimo non prevede ostacoli alla libertà dei propri adepti. Si aggiunga il fatto che quella mussulmana è una religiosità arcaica, profonda quanto si voglia, ma complessivamente semplice nelle sue formulazioni e nella sua ritualità. Per quanto ci si dedichi a semplificarlo il cristianesimo - e il cattolicesimo in particolare - pone invece diversi ostacoli - alcuni dei quali insormontabili - a chi desideri approfondirne la dottrina senza avere una forte motivazione.

Lo stesso Abramo, al momento in cui fu raggiunto da Colui che lo chiamava dall’alto a sacrificare il proprio figlio, si vide costretto a lasciare la terra dei suoi padri per una serie di ragioni, non ultima delle quali la distanza fra la tradizione in cui era cresciuto e la prospettiva di vita che gli veniva presentata. Partì anche perché gli fu promessa una discendenza più numerosa delle stelle e della sabbia del mare - e a tutt’oggi la promessa risulta mantenuta a dispetto della fragilità della condizione di partenza. Non è detto che, mutatis mutandis, l’effetto non abbia a ripetersi con coloro che oggi debbono lasciare la stessa sua terra.

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