Un conflitto che dura da 60 anni

Riesplosa la polveriera Kashmir Storia antica e ultime notizie

Riesplosa la polveriera Kashmir Storia antica e ultime notizie
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Sembra si stiano placando i focolai di violenza che si sono riaccesi negli ultimi giorni tra India e Pakistan per il controllo del Kashmir, una disputa che occupa essenzialmente la vita e il futuro di oltre quattordici milioni di persone. Il ministro indiano della Difesa, Arun Jaitley, ha esortato il Pakistan a mettere fine agli attacchi «ingiustificati» contro le posizioni indiane in Kashmir, e se ciò non avverrà l'India «farà diventare insostenibile il costo di questo avventurismo». Dal canto suo il premier pakistano Nawaz Sharif chiede all’India di sospendere gli attacchi al confine, e afferma che «il desiderio di pace del Pakistan non deve essere confuso per debolezza».

La fragile calma degli ultimi anni è stata messa a dura prova da una nuova escalation di violenze, tanto che il segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon ha espresso la sua preoccupazione incoraggiando le due parti a risolvere tramite il dialogo le divergenze tra i due Paesi e a trovare un accordo che porti nell’area pace e stabilità sul lungo periodo. Il Pakistan pare intenzionato a trattare con Delhi, e lo dimostrerebbe con lo stop agli attacchi, sebbene il suo ministro della difesa ci tenga a precisare che il Pakistan ha la capacità di contrattaccare ogni invasione indiana. Non è però vero il contrario: l’India, infatti, continua a rifiutare ogni colloquio con Islamabad.

Cosa è successo negli ultimi giorni. Nella regione, a maggioranza musulmana e interessata da un conflitto che dura da oltre 60 anni, vige un cessate il fuoco dal 2003. Dal 1989, anno in cui la ribellione separatista ha raggiunto l’intensità di una guerra civile, si sono contati tra i 50mila e gli 80mila morti, oltre a migliaia di desaparecidos e a una scia di ingiustizie ai danni di forze sociali, sindacati, gruppi per i diritti umani.

Le tensioni degli ultimi giorni sono la violazione più pesante della tregua da 11 anni a questa parte. Secondo la polizia di frontiera l'esercito pakistano ha sparato con mitragliatrici e mortai contro decine di postazioni indiane e le truppe di New Delhi hanno risposto. I due eserciti, quello indiano e quello pakistano, si accusano reciprocamente di aver violato la tregua mirando su obiettivi civili. I morti finora sono almeno una ventina e molte le decine i feriti. Oltre 30mila persone, terrorizzate dal riaccendersi del conflitto, sono fuggite dalle loro case.

Il tentativo di far conoscere la crisi. Da qualche mese, le autorità pachistane stanno cercando di portare la crisi all’attenzione internazionale, anche con un intervento del premier Nawaz Sharif durante la recente Assemblea generale dell'Onu a New York. Da tempo, inoltre, ci sono organizzazioni pakistane che sostengono le istanze di autodeterminazione del popolo kashmiri anche presso il Parlamento Europeo. Hanno una loro sede e organizzano convegni e giornate di studio sulla questione. Da parte sua l'India è decisamente contraria a qualsiasi interferenza esterna nella vicenda e continua a rivendicare la sua sovranità sul Kashmir, pur non escludendo una possibilità di dialogo con Islamabad. La violazione del cessate il fuoco da parte pakistana sarebbe dovuta alla mancata riuscita del tentativo di internazionalizzazione della questione kashmiri durante l'ultima Assemblea generale dell'Onu.

Che cos’è il conflitto del Kashmir. Conflitto che dura da oltre mezzo secolo, a lungo sottostimato e dimenticato. Vede la sua nascita al tempo della partizione del subcontinente indiano dopo il ritiro della potenza coloniale britannica. A causa del suo impatto sulle relazioni tra India e Pakistan, questo influisce direttamente sulla pace e la stabilità di quella regione del sud dell’Asia che contiene un quinto della popolazione mondiale.

Complessivamente il Kashmir occupa 222,236 chilometri quadrati amministrati da tre governi diversi. Lo Jammu, la Valle del Kashmir e il Ladakh sono sotto controllo indiano e vengono denominati genericamente Jammu e Kashmir. Il Pakistan amministra l’Azad Kashmir e i cosiddetti Territori del Nord, il Gilgit e il Baltisan dove troneggiano le alte vette della catena dell’Himalaya, Hindu Kush e Karakoram. Infine la Cina ha il controllo del Aksai Chin e del Shaksgam. È l’area con la più alta densità di presenza militare di tutto il pianeta: più o meno un soldato ogni otto abitanti. Essendo una zona che si colloca tra Pakistan, India e Cina, è facile notare come dal punto di vista geografico la regione occupi una posizione strategica, che da sempre ha allettato i Paesi vicini. I delicati equilibri dell’Asia centrale, da oltre mezzo secolo, ruotano attorno a questo asse, lungo il quale si giocano le schermaglie militari e geopolitiche del subcontinente indiano.

Disinnescare la polveriera del Kashmir significa quindi scongiurare scenari catastrofici che potrebbero derivare da un conflitto aperto tra potenze nucleari nemiche con trascorsi bellici importanti. India e Pakistan nel corso degli anni hanno combattuto tre guerre, nel 1947, nel 1965, nel 1999, oltre alla guerra per la secessione del Bangladesh dal Pakistan. La questione del Kashmir, va ricordato, investe uno dei bacini idrogeografici più importanti dell’intero pianeta, di sicuro il principale di tutta l’Asia Meridionale, con i suoi 1,16 milioni di chilometri quadrati di estensione. L’Indo, fiume sacro dell’India che nasce in Tibet, si ingrossa in Pakistan e lambisce il nord dell’India, è una miccia che può infuocare per l’ennesima volta il Subcontinente Indiano. Sono le acque dell’Indo a irrigare per oltre il 90% l’agricoltura pakistana.

 

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Anche se il Pakistan per certi aspetti appoggia il separatismo kashmiri, fonte di vitale importanza a livello militare poiché costringe l’India a schierare gran parte del suo esercito e quindi a lasciare sguarnite alcune schiere, con conseguente destabilizzazione interna, sul piano della sicurezza interna vede l’autonomia come una contraddizione nella realizzazione del sogno della patria universale dei musulmani del subcontinente. L’India, dal canto suo, si ispira a principi laici e il controllo del Kashmir significherebbe la realizzazione di uno stato laico basato sul nazionalismo civile.

Quello che da parte pakistana è l’Azad Kashmir, il Kashmir libero, dal versante indiano oltre la Linea di Controllo, confine di fatto creato nel 1972 ma mai riconosciuto internazionalmente perché oggetto di rivendicazioni, viene chiamato Kashmir occupato. A tutti gli effetti oggi la Linea di Controllo è il confine più pericoloso del mondo. È una barriera insormontabile che separa villaggi e famiglie, permeabile però all’infiltrazione di combattenti armati da entrambi i lati.

Accanto alle guerre che India e Pakistan hanno combattuto per il controllo dell’intero territorio e delle sue risorse, c’è poi la battaglia personale della popolazione per affermare il diritto di decidere del proprio futuro. Per opposte ragioni l’unico punto su cui India e Pakistan concordano è che il Kashmir non possa godere dell’autonomia. Ma alla base della richiesta di autodeterminazione c’è la ricca identità culturale di questo popolo che è il frutto di una commistione e una convivenza di etnie e culture diverse che si sono amalgamate.

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