Fino a quando?

Alta tensione a Gerusalemme

Alta tensione a Gerusalemme
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Gerusalemme blindata per l’allerta attentati, accesso alla Spianata delle moschee nuovamente chiuso, arresti, violenze. Le provocazioni a Gerusalemme sono all’ordine del giorno. Da sempre. Ma in queste ore la tensione si è alzata e la situazione è destinata a peggiorare per via di due fatti importanti. Questa notte in un agguato è stato ferito gravemente un rabbino della destra ultranazionalista e un palestinese è stato ucciso perché ritenuto l’attentatore.

Allerta attentati. La città è ora blindata per l’allerta attentati. Un palestinese è stato ucciso dalle forze di sicurezza israeliane perché ritenuto il responsabile di un attentato nei confronti del leader dell’ultradestra ebraica, rabbino Yehuda Glick, protagonista di molte incursioni sulla Spianata delle moschee. Il rabbino Glick, americano di origine, è a capo del movimento chiamato “I Fedeli del Monte del Tempio”, che ha come obiettivo la costruzione del Terzo tempio nel luogo della Spianata, e vorrebbe che le moschee di al Aqsa e la cupola della Roccia venissero spostate in un altro Paese.

Il palestinese ucciso, secondo la ricostruzione fatta dalla destra israeliana, avrebbe avvicinato in moto il rabbino, gli avrebbe chiesto se fosse davvero lui e gli avrebbe sparato. Pare, stando a quanto riportano le prime notizie della stampa israeliana, che l’attentatore parlasse ebraico con forte accento arabo e che si sarebbe scusato con il rabbino prima di sparare, dicendo che «doveva farlo».

L’espansione di Israele e la risposta internazionale. E nei giorni scorsi il premier Netanyahu ha deciso, contro ogni parere della Comunità internazionale, di espandere ulteriormente gli insediamenti nella zona occupata della città, Gerusalemme Est. Verranno costruite 1060 case nelle due colonie di Ramat Shlomo e Har Homa, poste ai due antipodi della città. La prima è a nord est di Gerusalemme, la seconda a sud ovest, sulla strada che porta a Betlemme. Si costruiranno anche 12 nuove strade nella Cisgiordania occupata, interamente dedicate agli insediamenti e dove non potranno circolare i palestinesi.

Quella dell’espansione degli insediamenti è una decisione che ha infastidito molti, non solo tra i palestinesi. Anche Stati Uniti e Unione Europea hanno espresso le loro preoccupazioni e il loro dissenso nei confronti di una sempre più selvaggia colonizzazione nei territori palestinesi da parte di Israele. Un funzionario dell’Amministrazione americana, parlando alla rivista The Atlantic, ha definito Netanyahu «chickenshit» (che tradotto significa più o meno “vigliacco” o “codardo”) e dichiarato che le relazioni tra i due Paesi sono in una profonda crisi, destinata ad acuirsi dopo le elezioni americane di Midterm. La Casa Bianca si è dissociata dalle affermazioni del suo funzionario, e il Presidente israeliano Rueven Rivlin ha ribadito come la politica israeliana debba fondarsi su tre pilastri principali: «I rapporti con gli Usa, i rapporti con gli Usa, e terzo i rapporti con gli Usa».

Il premier dello Stato ebraico ha prontamente risposto al funzionario americano, considerando gli attacchi alla sua persona come conseguenza della sua politica di difesa nei confronti di Israele. Inoltre, durante il suo discorso alla Knesset (il parlamento israeliano) ha sentenziato: «Gli inglesi costruiscono a Londra, i francesi a Parigi, noi a Gerusalemme». Un atteggiamento, quello del premier israeliano, che mostra come Israele sia totalmente intenzionato a proseguire la sua campagna di occupazione della città a Gerusalemme Est, iniziata nel 1967 contro ogni risoluzione della comunità internazionale. In tutto Israele ci sono circa mezzo milione di coloni che vivono in 120 insediamenti illegali.

Di fronte a tale situazione è stata convocata una riunione urgente del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, su richiesta della Giordania dietro istanza del rappresentante palestinese alle Nazioni Unite, Riyad Mansour. Nel corso della riunione è emersa una nuova condanna e un appello a Israele a rispettare la libertà religiosa di tutti i fedeli, oltre a “congelare le attività di insediamento in Cisgiordania e a Gerusalemme est, rispettare gli impegni derivanti dal diritto internazionale e la roadmap del Quartetto”.

I tristi fatti delle ultime settimane. L’annuncio dell’ampliamento degli insediamenti arriva dopo giorni di alta tensione tra le due anime della città, quella israeliana e quella palestinese. Si è gridato all’attentato quando un presunto simpatizzante di Hamas, già ripetutamente torturato nelle carceri israeliane e per questo con problemi psichici, ha travolto con la sua auto alcuni passeggeri che aspettavano il tram. Una bambina di tre mesi è morta, l’attentatore ammazzato all’istante dalle forze di sicurezza. Va detto che la dinamica, per quanto le immagini non lascino dubbi all’intenzionalità del gesto, è alquanto particolare nella scelta dell’obiettivo da colpire. Negli anni degli attentati suicidi in posti pubblici mai si era preso di mira un luogo dove non erano presenti israeliani. In questo caso, invece, l’attentatore ha agito in una zona della città dove passa il tram che collega le colonie della parte est di Gerusalemme con il centro e proprio la fermata in questione è nei pressi del quartiere di Shoufat, interamente arabo e sede di un campo profughi. Subito sono state incrementate le misure di sicurezza, così come il numero di poliziotti presenti in città.

Qualche giorno prima, poche decine di chilometri più a nord di Gerusalemme, un colono israeliano ebreo ortodosso ha, anch’esso deliberatamente, investito con l’auto due bambine che uscivano da scuola: una e morta e l’altra è molto grave. In questo caso le autorità non hanno parlato di attentato ma di incidente stradale e il guidatore è libero e non verrà sottoposto ad alcun processo. E sempre in questa zona della Cisgiordania, la Samaria, dove i coloni degli insediamenti sono tra i più violenti, è stato deciso che ci saranno autobus separati per chi si dirige a Gerusalemme. Su alcuni autobus solo i coloni ebrei, su altri i lavoratori palestinesi e i loro tragitti saranno diversificati per fare in modo che le due entità non si incontrino.

Tensione alle stelle e arresti di massa. A Gerusalemme ormai la tensione si vive ogni giorno, con manifestazioni quotidiane di protesta, seguite da brutali repressioni e arresti. Quella di questa notte è una situazione che si verifica sempre più spesso. Soprattutto nei quartieri arabi della città, quei quartieri che pellegrini e turisti solitamente non vedono. A Silwan, a Ras al-Amud, a Issawiya, tutte zone interessate dalle violenze e da estrema povertà, dove l’acqua è razionata e la spazzatura raccolta una tantum, e i coloni ebrei fanno incetta di case occupando abitazioni, o peggio, acquistandole facendo leva sui primari bisogno umani dei palestinesi che vi abitano, sono circa 900 le persone che sono state arrestate dallo scorso luglio, in seguito all’uccisione del 14enne palestinese per mano di fanatici israeliani. Molto di loro sono in detenzione amministrativa, pratica in uso in Israele per tenere in carcere senza prova e senza sentenza persone sospettate di essere un pericolo per la sicurezza pubblica. Vanno a unirsi al numero di quei 750mila che sono stati arrestati dal 1967, di cui 23.000 donne e 25.000 bambini: sono pari al 20% del totale della popolazione palestinese dei territori occupati. In meno di un mese sono stati emessi 121 ordini di detenzione amministrativa.

Fino a quando? Ad aggravare la situazione ci si è messo anche il sindaco ultranazionalista di Gerusalemme che, come fece l’allora premier Ariel Sharon nel 2000, si è recato sulla Spianata delle moschee insieme a parlamentari estremisti della Knesset e coloni per una “passeggiata”. Nel 2000 il fatto scatenò la seconda intifada, quella caratterizzata dai kamikaze che si facevano esplodere su autobus, in locali e ristoranti. Oggi la situazione è sempre più degenerata ed entrambi i popoli, israeliano e palestinese, rimangono fermi sulle loro posizioni accusandosi reciprocamente di essere l’unico responsabile del fallimento dei  negoziati per il processo di pace. A poco è valso il gesto del presidente Rueven Rivlin di aver riconosciuto le ingiustizie che subiscono gli arabi dal 1948: né per i palestinesi né per il governo israeliano. Dopotutto, come ha espresso l’editorialista Gideon Levy, israeliano, sul quotidiano Haaretz, i palestinesi sono esasperati da una situazione di apartheid che si fa ogni giorno più grave e che potrebbe scoppiare da un momento all’altro. Levy si chiede: «Quanto a lungo guarderanno i loro figli uscire di casa con la paura di essere aggrediti da estremisti nelle strade? Quando a lungo guarderanno i loro figli arrestati per ogni pietra lanciata? Quanto a lungo assisteranno all’abbandono del loro quartiere? Quanto a lungo consentiranno la tacita espulsione dalla città? Non è apartheid questo?».

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