Una nuova Stalingrado?

Kobane: issata la bandiera nera

Kobane: issata la bandiera nera
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Su Kobane è spuntata la bandiera nera. L’hanno issata sul tetto di un palazzo nella parte orientale della città i miliziani dell’Isis. Pare che i jihadisti abbiano preso possesso di una collina strategica da cui possono martellare con l'artiglieria tutta l'area. La città nelle ultime due settimane è stata teatro di violentissimi combattimenti e di una stregua resistenza da parte dei curdi. I jihadisti erano già arrivati alle porte di Kobane nei giorni scorsi, e fonti locali affermavano che l’Isis era già penetrato nella parte sud-ovest. La Cnn, citando fonti curde, riferisce che ormai si sta combattendo anche per le strade, tra le case, in quella che i curdi ritengono essere la più strenua difesa del loro ultimo baluardo. Oltre 60 missili dell’Isis sono caduti in centro città. Significa che anche Kobane, ultimo baluardo curdo in Siria, è nelle mani del califfo su tre lati: est, ovest e sud. A nord c’è il confine turco, a poche centinaia di metri. Ai miliziani manca solo di raggiungere il centro città.

Una nuova Stalingrado. Pur di non permettere ai miliziani di conquistare Kobane i curdi si erano detto pronti a “scatenare l’inferno”, tanto che la battaglia di Kobane potrebbe eguagliare quella di Stalingrado, nella Seconda Guerra Mondiale, per intensità e forza. «Ormai tra noi e i jihadisti c’è meno di un chilometro – ha detto al telefono con la Reuters un leader curdo delle Ypg (Unità di protezione del Popolo) – Ci troviamo in un’area piccola e assediata. Non ci sono arrivati rinforzi e il confine con la Turchia è chiuso. Cosa mi aspetto? Uccisioni, massacri, distruzione. Siamo bombardati da carri armati, artiglieria, razzi e mortai». Finora sono 200 mila gli abitanti di Kobane che non hanno lasciato le loro case, e si teme il loro massacro vista la disparità delle forze in campo: i jihadisti posseggono armi sofisticate, i curdi si affidano ai cecchini. La sorte del massacro è toccata agli abitanti dei villaggi vicini che non sono riusciti a fuggire e non si sono convertiti al califfo. Esattamente come accadde a luglio per i cristiani in Iraq. Finora gli attacchi aerei della coalizione di volenterosi capeggiata dagli Stati Uniti non hanno sortito effetti. I curdi ribadiscono come sia necessario un supporto da terra. Fa loro eco il Regno Unito: l’ex capo del personale delle forze armate, il generale Sir David Richards, ha definito «senza senso» la scelta di chi ha inviato i caccia Tornado in Iraq senza prevedere una “complementare” strategia di terra.

La Turchia resta a guardare (e spara lacrimogeni sulla gente in fuga). La Turchia, nonostante ciò e sebbene il parlamento abbia approvato la risoluzione per intervenire militarmente contro l’Isis, resta a guardare. L’esercito turco si limita a impedire ai curdi, siriani o turchi, che vogliono andare in Siria per combattere contro gli estremisti islamici, di varcare il confine. Le forze di sicurezza turche hanno sparato oggi gas lacrimogeni per cacciare dalla zona di confine decine di giornalisti e civili curdi in fuga dai feroci combattimenti di Kobane assediata. Il quotidiano inglese Times sostiene che la Turchia, dal canto suo, avrebbe scambiato con l'Isis oltre 180 jihadisti, fra cui due britannici, in cambio di 46 diplomatici di Ankara e tre iracheni, rapiti dallo Stato islamico nei mesi scorsi.

Nei giorni scorsi circa 160 mila civili sono fuggiti cercando scampo in territorio turco, e secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani circa il 90% dei residenti di Kobane e dei villaggi vicini sono fuggiti nel timore dell’assalto dell’Isis. Chi è riuscito a raggiungere la Turchia ha raccontato di incredibili atrocità perpetrate dai miliziani nei confronti di coloro che non si uniscono alla loro causa. Pare che i jihadisti volessero festeggiare la presa di Kobane nella moschea della città in occasione dell’Eid, la festa dell’agnello che è una delle maggiori solennità per l’Islam. La resistenza curda glielo ha impedito, ma adesso serve un aiuto esterno.

Incredibili atrocità. Secondo alcune testimonianze riportate dal sito Globalist.it un uomo di 85 anni è stato decapitato dai guerriglieri neri del califfato perché si era rifiutato di unirsi alla causa dell’Isis, non riuscendo nemmeno a tenere un’arma in mano. Madri e figlie sono state barbaramente uccise dopo essere state violentate. Una donna, prima di riuscire a fuggire in Turchia, ha ritrovato i corpi senza vita di sua sorella e del suo bambino, di appena 8 anni, che giacevano in un pozzo di sangue: «Erano stati violentati, e i loro cuori sono stati estratti dal loro petto».

Gli appelli cadono nel vuoto. I curdi hanno chiesto alla Turchia di intervenire ma Ankara ha ribadito che si muoverà solo se la città cadrà definitivamente nelle mani dell’Isis. Tutto ciò fa pensare che per la Turchia i 500 metri che separano Kobani dal confine siano pieni di insidie diplomatiche e rafforza la tesi che la questione curda è la prima vera preoccupazione del governo turco. Entrare in guerra a fianco della coalizione capeggiata dagli Stati Uniti significa appoggiare anche i curdi, il cui PKK (partito del lavoratori), tra i più attivi movimenti che combattono i miliziani, è al centro di una lotta che dura da decenni con la Turchia. Il presidente Recep Tayyp Erdogan, inoltre, ha definito i combattenti curdi uguali ai miliziani dell’Isis, e la Turchia in cambio dell’aiuto ai curdi del nord della Siria chiede che essi rinuncino alle loro istanze di indipendenza e autodeterminazione. Anche la Siria non è favorevole a un intervento militare turco. Damasco, tramite il suo ministro degli esteri, avverte: «Un intervento militare turco in territorio siriano contro gli jihadisti dello Stato islamico sarebbe considerato come un’aggressione».

La donna kamikaze. La lotta ai miliziani dell’Isis ha fatto riemergere un fantasma del passato: i kamikaze. Una combattente curda si è fatta esplodere tra i miliziani dell’Isis alle porte di Kobane, distruggendo un mezzo blindato delle milizie islamiche e fatto circa una ventina di vittime. È il primo attentato suicida compiuto da curdi contro i jihadisti in Siria. Arin Mirkin, madre di due figli, comandava un’unità femminile di combattenti e una volta terminate le munizioni si è fatta esplodere per non diventare ostaggio dei jihadisti. Arin è solo una delle tante combattenti curde, vedono la via delle armi come unico modo di evitare un destino da sposa bambina o il rischio di uno stupro etnico. Nelle fila del Pkk quasi il 20% dei combattenti è donna. Negli anni passati, quelli degli attentati a matrice terroristica del Pkk, oltre la metà degli attacchi suicidi da parte dei curdi in chiave anti-turca è stata compiuta da donne votate al “martirio”.

 

 

 

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