«L'amore è una malattia gravissima»

Che succede quando ti innamori In senso ormonale, un vero delirio

Che succede quando ti innamori In senso ormonale, un vero delirio
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Che ci si innamori sembra un fatto acclarato. In realtà al fatto che sembri - che si tratti di una falsa credenza - si dovrebbe dar più peso che al resto, perché "innamorarsi" non è verbo che funzioni allo stesso modo tutte le stagioni né si addice indiscriminatamente a tutte le situazioni per cui lo si impiega. È un po’ come “tagliare”, che denota sia l’operazione di ridurre le dimensioni delle unghie che quella di sfoltire le chiome degli alberi. Sarebbe improprio usare la motosega nel primo caso e le forbicine per la seconda.

Preso, dunque, nella sua ampiezza, il fenomeno dell’amore sembra esser l’effetto dell’azione combinata di alcuni ormoni fondamentali. Per altri studiosi la situazione sembra rovesciata: sarebbe il fatto di innamorarsi a scatenare la tempesta ormonale. La stessa oscillazione si ha per quanto attiene all’attivazione delle aree cerebrali interessate dal fenomeno: è il loro sentirsi interpellate a determinare l’insorgere della passione o è la passione che le manda in allarme? Al momento è difficile dire. Le neuroscienze si limitano a registrare l’insorgere della sintomatologia, dosano il delta ormonale (la differenza quantitativa fra prima e dopo), studiano le correlazioni (quanto dell’uno e quanto dell’altro rispetto al sintomo fisiologico), descrivono l’attività delle aree cerebrali. Ad oggi i fattori unanimemente riconosciuti presenti nell’esperienza dell’innamoramento sono i seguenti.

 

 

Alla base di tutto ci sarebbe una molecola, la feniletilamina (Pea nell’acronimo inglese, dove Fenil è scritto Phenil) che quando siamo tranquilli regola il battito cardiaco e il ritmo della respirazione. In concentrazioni elevate provoca l’accelerazione del primo e qualche scompenso nel secondo. Si tratta di risultati simili a quelli prodotti dal ricorso alle anfetamine, come del resto lascia ipotizzare l’ultima parte (-amina) del nome della molecola.

La dopamina è a sua volta responsabile della sensazione di benessere che ci prende ogni volta che siamo raggiunti da sensazioni gradevoli eventualmente connesse alla memoria di esperienze ugualmente piacevoli occorse in passato e che vorremmo poter ripetere. I musicofili pensino all’inizio della Quinta sinfonia di Ludwig van Beethoven, dedicata appunto alle sensazioni gradevoli all’arrivo in campagna, e così si spiegheranno la presenza di quel brano sublime in molti degli spot che pubblicizzano prodotti legati al benessere fisico e mentale. Dato però che lo stesso meccanismo si sviluppa quando assumiamo sostanze come l’alcol, i prodotti del fumo, o droghe di vario genere, molti studi si lasciano andare ad affermare che l’innamoramento ha più di una caratteristica in comune col fatto di drogarsi.

La noradrenalina: come indica il nome è il regolatore che interviene sulla adrenalina, l’ormone secreto dalle ghiandole surrenali che ci mette in stato di allerta (o che ci supporta quando ci allertiamo). Se il regolatore se ne va in vacanza o decide di dare il minimo sindacale, il comportamento ne risente in maniera sensibile: ci si agita in maniera inconsulta, si decide sulla scorta del primo impulso che si presenta, non si permette alla riflessione di far sentire il proprio peso. Se lo sciopero della noradrenalina si prolunga si hanno i comportamenti ossessivi nei confronti della persona dalla quale si fanno derivare i sintomi or ora descritti. Chi tempesta di sms il partner o sente una naturale propensione allo stalking si faccia prescrivere dosi massicce di noradrenalinici.

 

 

Ad essere generalmente definito l’ “ormone dell’amore” è però l’ossitocina, sempre presente in maniera massiva quando si studia il fenomeno, ma la cui funzione e il cui comportamento non sono ancora stati studiati in maniera esaustiva, perché si sospetta che siano molto più complessi e determinanti di quanto immaginiamo. Entra in azione, infatti, anche durante il parto e nel corso dell’allattamento, oltre che nell’orgasmo e in altre operazioni propedeutiche. Si ritiene che sia il responsabile di atteggiamenti quali la tendenza a proteggere l’amato e a procurargli un benessere stabile e duraturo.

Niente di tutto ciò potrebbe aver luogo, però, se nella calma serena dell’organismo non si introducessero - quasi di soppiatto - i ferormoni, cioè le sostanze  che - prodotte da entrambi i sessi - generano (scatenano, in certi casi) l'attrazione fisica. La pelle - il più esteso dei nostri organi - i capelli, le ghiandole ascellari sono grandi produttori di feromoni, al pari della saliva e di altri liquidi prodotti dall’organismo. In alcuni periodi - quali l’ovulazione, nelle donne - la produzione raggiunge picchi che determinano quelle che in linguaggio popolare vengono dette le stagioni (o i giorni) dell’amore. Pare che sia soprattutto il naso ad essere sensibile a queste sostanze, ma la certezza definitiva in questa materia non è stata ancora raggiunta. Parliamo della certezza scientifica. Perché il convincimento che il naso abbia gran parte in questo processo l’umanità lo ha acquisito fin dal tempo degli antichi Sumeri, se non ancora da prima. Oltre che nelle secrezioni organiche, infatti, i ferormoni entrano nella composizione dei profumi, delle creme di bellezza e in altri prodotti pensati per rendere più attraente la propria persona.

Nè si può tacere, a questo punto, del testosterone, l’ormone che stimola la libido. Viene rilasciato dai testicoli, ma a comandarne il rilascio è un’altra ghiandola l’ipofisi, che si trova nel cervello.

Quando poi l’organismo segnala che il regime di turbamento ormonale non può essere più mantenuto ai livelli iniziali, pena il rapido decadimento dell’organismo stesso, entrano in azione le endorfine. Parenti della morfina, impongono alle centrali di produzione ormonali di darsi una calmata, riducono la potenza degli stimoli, inducono ad assumere comportamenti più di tipo protettivo che aggressivo o bellicoso. L’azione delle endorfine è a tempo determinato, e varia da un anno e mezzo a quattro.

Dopo di che non si capisce cosa dovrebbe succedere. In ogni caso l’amore che potrebbe durare anche tutta una vita non è più quello di cui parla la scienza quando si occupa della fase di accensione del rapporto fra uomo e donna (o più in generale fra maschi e femmine, per esempio ratti o scimpanzé) di cui abbiamo sottolineato i fattori biochimici.

A proposito dei rischi connessi con la sovrastima degli effetti dell’amore (nel senso sopra esposto) sulla possibilità di dar luogo a una relazione a lungo termine, ha detto cose molto assennate lo psichiatra Vittorino Andreoli nel suo utilissimo “Lettera alla tua famiglia”:

«Sostenere che il matrimonio si fonda sull’amore passionale è una di quelle affermazioni da favola nate durante il Romanticismo e dunque piuttosto di recente. Lo so che una simile affermazione appare mostruosa, ma a me sembra altrettanto mostruoso voler fondare un matrimonio su una sensazione, un sentimento acuto che dovrebbe non consumarsi mai e durare a lungo contraddicendo la stessa natura amorosa che è un impeto, uno stravolgimento in cui l’innamorato non vede che l’oggetto d’amore e aspira solo a starci insieme, riducendo a lei o a lui tutto il mondo: un vero delirio.»

E conclude così il suo pensiero

«L’amore è una malattia gravissima, per fortuna è transitoria e dunque passa, e se il matrimonio si fondasse sulla passione, certo passerebbe con il suo svanire. Tra lui e lei innamorati non rimane spazio per nulla e perfino un figlio potrebbe diventare elemento di disturbo».

E poi continua.

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