La più giovane nazione africana

Il Sud Sudan compie tre anni una triste indipendenza

Il Sud Sudan compie tre anni una triste indipendenza
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9 luglio 2011 – 9 luglio 2014. Tre anni di Sud Sudan. Un triste compleanno quello della più giovane nazione africana, la numero 54 e la 193esima delle Nazioni Unite. Un compleanno costellato da carestie e conflitti etnici che hanno come unico risultato l’emergenza umanitaria. Un’indipendenza quella del Sud Sudan conquistata con 50 anni di guerre sanguinose costate due milioni di morti e quattro milioni di rifugiati e sfollati. Conflitti continui che hanno opposto il Nord, arabo e musulmano e il Sud, africano e cristiano animista. Non solo una guerra di religione: le ragioni risiedono anche nell’iniqua distribuzione delle ricchezze nazionali e degli investimenti da parte dei governi di Khartoum. E la conquistata indipendenza non ha giovato al Paese. Gli spettri della guerra civile si sono rifatti vivi e sono stati nuovamente alimentati.

Il petrolio. Uno Stato, il Sud Sudan, tra i più ricchi al mondo di petrolio, con una capacità di estrazione di 350mila barili al giorno. Gli oleodotti, però, passano in territorio appartenente allo stato del Nord, con i  conseguenti contenziosi sul diritto di passaggio che hanno portato a un blocco delle estrazioni durato oltre un anno. Non è difficile immaginare come un Paese che si regge per il 98% sulle entrate derivanti dal petrolio, sia precipitato in una difficilissima crisi economica che ha posto le basi per il riaccendersi dei focolai di guerra civile, che la fragile leadership politica non ha saputo sedare. Decenni di schiavizzazione e 20 anni di guerra hanno mantenuto, infatti, i circa 10 milioni di abitanti in una condizione di estrema povertà e ignoranza. Il sistema sanitario è quasi inesistente.

La leadership politica. Cristiano di etnia dinka, maggioritaria nelle regioni meridionali, Salva Kiir Mayardit era considerato l’erede di John Garang, il leader storico della lotta per i diritti del Sud, con la differenza di essere più radicale e fermo sostenitore dell’indipendenza da Khartoum. Fondatore dell’Splm, il Movimento Popolare per la Liberazione Sudanese, ne guidò l’ala armata (Spla) per lungo tempo. Il 26 aprile 2010 vinse le elezioni con il 93% dei consensi, e divenne vicepresidente del Sudan e Presidente dello Stato Semiautonomo delle regioni Meridionali. Fu lui a proclamare l’indipendenza e la nascita della nazione il 9 luglio 2011. Si deve a Kiir la caduta del Paese nel baratro della crisi e dei rigurgiti di guerra civile scoppiati alla fine del 2013. Il suo vice, Riek Machar è l’altro protagonista. Leader influente dei nuer, il secondo gruppo etnico del Paese, è originario dello stato petrolifero di Unity. Da sempre personaggio controverso, dal 1983 al 2003 – gli anni della guerra sudanese – si è battuto a fasi alterne nelle fila di entrambi gli schieramenti – Spla e esercito di Khartoum – e non è visto di buon occhio dai dinka poiché è accusato di essere il responsabile del loro massacro del 1991. Nel 2005 firmò gli accordi di pace e divenne vice di Salva Kiir fino a luglio scorso, quando venne destituito dallo stesso Presidente in seguito al suo annuncio di volersi candidare alle elezioni del 2015. Venne accusato di colpo di Stato.

Guerra e emergenza umanitaria. Una lunga crisi politica che ha accentuato quella economica e umanitaria, trascinando il Paese ormai nuovamente in guerra in una drammatica carestia. Prima del riaccendersi del conflitto erano già 210mila i profughi presenti in Sud Sudan. L’Onu, presente con la missione di peacekeeping UNMISS, fornisce sostegno umanitario e funge da forza di interposizione tra le due fazioni in lotta, i nuer e i dinka. Secondo l’ultimo rapporto dell’Ocha, l’agenzia dell’Onu per il coordinamento delle operazioni umanitarie sono 1.100.000 gli sfollati interni, circa 100.000, in grande maggioranza donne e bambini nuer, in 10 campi all’interno delle basi della missione di pace. Anche gli operatori umanitari sono nel mirino della nuova guerra civile e tribale. Medici senza Frontiere denuncia che sono 6 i suoi ospedali bruciati o depredati e 58 le persone uccise al loro interno. Con queste premesse e questi numeri mette i brividi vedere il manifesto celebrativo che ritrae i due – Kiir e Machar – sorridenti, che vicendevolmente si augurano un buon terzo compleanno.

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