Museo in crisi

Sulla grande Accademia Carrara adesso sventola bandiera bianca (altro che restyling...)

La scorsa settimana è stato annunciato, di fatto, un ridimensionamento: nel 2021 chiuderà qualche mese per ridurre gli spazi espositivi. Le casse sono in rosso, gli sponsor di una volta non ci sono più e il Covid...

Sulla grande Accademia Carrara adesso sventola bandiera bianca (altro che restyling...)
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di Bruno Silini

Alla Carrara sventola bandiera bianca. Ma non si può dire. Si preferisce scomodare un anglismo fighetto come “restyling”. Che tradotto con la “filosofia della pignatta” di thatcheriana memoria significa: non ci stiamo più dentro economicamente parlando. Chiudiamo per qualche mese. Ridimensioniamo gli spazi espositivi per poter contenere il 60 per cento (il top) dei circa cinquecento pezzi ora visitabili e nel tempo dei lavori prestiamo qualche opera ai cinesi per tirar su un po’ di grana o di crediti.

Ormai, l’inaugurazione della “Meravigliosa Carrara” di cinque anni fa (era aprile 2015), dopo sette lunghissimi e travagliati anni di chiusura, è solo un ricordo nostalgico e pomposo con quelle ballerine volanti, gli enormi palloncini, i nastri e i festoni che impacchettavano la pinacoteca, i giochi di luce e il ghigno dell’Arlecchino riesumato per l’occasione. Oggi i palloncini si sono sgonfiati, le luci spente e i nastri stinti. Siamo in presenza di un contenitore rigido e soprattutto non sufficientemente elastico perché quando si fa una mostra importante si è costretti a bussare alla Gamec. Il che, paradossalmente, genera una sorta di cannibalismo in quanto le persone che pagano un biglietto, magari per visitare la mostra su Raffaello (ospitata appunto alla Gamec nel 2018), poi non vanno “dall’altra parte” a visitare il resto. Un’evidenza che genera degli extra costi gestionali: guardiania, climatizzazione, assicurazioni. Per “andare dall’altra parte” ci si deve inventare una caterva di promozioni; letteralmente mancano solo i cani e gatti e poi gli sconti sul biglietto d’ingresso sono stati concessi a tutti.

Cinque anni fa, il sindaco di Bergamo Giorgio Gori, nonché presidente del Cda della Fondazione Accademia Carrara, disse di aver “tirato fuori” per il nuovo allestimento 180 opere che prima erano nascoste al pubblico, che ora si sarebbe dialogato con i migliori musei del mondo, che questa era un'occasione unica per la città per poter scommettere sulla bellezza e sulla cultura. «Due carte - concluse in quel magniloquente taglio del nastro - che ci permetteranno di guardare lontano». Troppo ottimista. Non ha fatto i conti col tempo che passa. Si pensava di navigare confidando sempre nel vento in poppa. Ma l’aria cambia (Mary Poppins docet). L’esposizione di adesso è figlia di una serie di decisioni tecniche elaborate da una commissione, certo molto qualificata a livello anche internazionale, che però sconta il passare delle stagioni. Le prospettive di mercato di cinque anni fa non sono quelle di oggi. Poi, a gamba tesa, si è aggiunto il Covid che ha accelerato la china negativa.

La direttrice Maria Cristina Rodeschini, che in questi anni ha fatto un buon lavoro mettendoci passione e competenza, è evasiva sulle ragioni vere, non di facciata, di un “restyling” interno di non poco conto. «La programmazione delle attività di un museo come la Carrara - ci ha fatto sapere - prevede dei necessari approfondimenti e delle conseguenti tempistiche. Ogni valutazione e ogni decisione ha, come principale obiettivo creare un museo sempre più capace di conservare il suo patrimonio, valorizzarlo e incontrare l’interesse dei molti pubblici ai quali parla. Accademia Carrara non è istituzione che per Dna ripieghi in difesa. Mai. Ha sempre rilanciato la sua attività con maggiore energia e così sarà anche per i progetti, ambiziosi, del prossimo futuro. Nonostante una congiuntura sfavorevole per tutto il mondo».

Se questa è la situazione nel 2021 potremmo avere una Carrara più piccola concentrata su una esposizione di una qualità assoluta e flessibile negli spazi che punta non al turista internazionale ma a quello più local (200/300 chilometri da Bergamo): certamente con i soli bergamaschi non si va da nessuna parte. Poi ci si dimentica che gli sponsor di una volta (Ubi, Credito Bergamasco, Italcementi...) non ci sono più. Chi finanzia lo fa per un evento, non per la struttura.

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