Prossimo turno il 7 maggio

Il terremoto delle elezioni francesi

Il terremoto delle elezioni francesi
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È stato un terremoto, come ha titolato Le Monde. Un terremoto che ha sconvolto tutti gli equilibri storici della Francia repubblicana. Ci sono tante prime volte in questo voto per le presidenziali che eleggeranno con il secondo turno del 7 maggio il nuovo inquilino dell’Eliseo. È la prima volta che i due partiti storici, il gollista e il socialista, non portano nessun candidato al ballottaggio. Umiliante il 6 per cento dei socialisti eredi di Mitterrand che hanno candidato Benoit Hamon; meglio è andata a François Fillon, che era partito da favorito ma che è poi è inciampato nello scandalo dello stipendio come “assistente parlamentare” per la moglie. Ha vinto un candidato che si è presentato senza partito: En Marche, il movimento che ha sostenuto la candidatura di Emmanuel Macron, era stato fondato solo un anno fa. Sull’altra sponda ci sarà Marine Le Pen: anche in questo caso si tratta di una prima volta, in quanto non era mai accaduto che un partito d’estrema destra, erede della Francia nera, quella che fece a suon di bombe la guerra a De Gaulle per l’indipendenza dell’Algeria, superasse il 20 per cento dei voti.

 

Il confronto con le elezioni del 2012.

 

Ora tutti hanno preso posizione per un'elezione anti Le Pen, per cui per il 7 maggio non si prevedono altri (e ben più drammatici) terremoti. Ma ci sono comunque dei dati nel risultato di ieri che non lasciano tranquilli. Innanzitutto quello per Le Pen è un voto che ha molte somiglianze con quello che a sorpresa ha portato Trump alla Casa Bianca. È un voto della Francia profonda, quella che è stata maggiormente investita dalla crisi e che ora medita una sua rivincita, pensando che il malumore sotterraneo venga a galla. Oltre al tema anti-migranti, uno dei punti forti su cui ha fatto leva Marine Le Pen è il sentimento antieuropeista. È un sentimento molto trasversale: è vero che le posizioni dell’ultra destra sono demonizzate a livello pubblico da tutti e indicate come “il grande pericolo”, ma se poi si scava nei programmi si scopre che tutti i candidati hanno espresso posizioni ostili all’Unione Europea, a cominciare da François Fillon che ha sempre ricordato di aver votato no, nel 1992, alla ratifica del Trattato di Maastricht. Ma c’è molto anti europeismo anche tra le fila di Jean-Luc Mélenchon, il leader dell’ultra sinistra che  ha ottenuto un sorprendente 19,2 per cento, appena a un’incollatura da Fillon. Lui ha raccolto il voto delle banlieue e della Francia urbana arrabbiata. Non ha voluto dare indicazione di voto per il ballottaggio, anche se si dà per scontato che nessuno dei suoi elettori possa mettere la croce sulla casella di Le Pen. Ma se invece il desiderio di dare un segnale al sistema prevalesse sull’ostilità ideologica? Dopo il voto per la Brexit non si può dare più nulla per scontato.

 

I risultati, dal sito del Corriere della Sera.
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Se il voto del 7 maggio dovesse trasformarsi in una sorta di referendum per l’Europa, Macron sarebbe l’unico a sostenere le ragioni del rimanere. Del resto lui è figlio di quella tecnocrazia politica che a Bruxelles ha in mano il governo del vecchio continente. Non bisogna fidarsi troppo dell’unico precedente, quando Jacques Chirac nel 2002 si trovò a sfidare Jean-Marie Le Pen al ballottaggio. Allora finì con un 82 a 18 senza appello e con tutta la sinistra scesa in massa a votare per il candidato gollista, turandosi il naso. Ma ora la situazione è alquanto diversa. La nipote del rude fondatore del Front National incontra consensi molto più trasversali. E poi c’è l’incognita della crisi, che potrebbe rimescolare le carte in modo del tutto imprevisto. Se fosse così, il vero terremoto deve ancora arrivare...

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