Toni deve 1,7 milioni alla Chiesa

Era il 2009 quando nelle case italiane iniziò a risuonare un ritornello orecchiabile e facilmente memorizzabile che faceva: «Luca sei per me. Il numero 1». Mathias Matze Knop, conduttore televisivo tedesco, omaggiava Luca Toni con una canzone priva di senso che non faceva altro che elencare alcuni luoghi comuni italiani, spaziando dalle cozze fino a Berlusconi, i tortellini, i calamari e i cannelloni. Luca all’epoca faceva quello che fa anche oggi: il goleador. Tre anni con il Bayern Monaco in cui Toni collezionò trofei sia di squadra che personali: Campionato, Coppa di Germania e Coppa di Lega Tedesca, ma anche il titolo di capocannoniere della Bundesliga e della Coppa UEFA. Alla fine furono 58 reti in 89 partite, prima del ritorno in patria con destinazione Roma. Il bomber modenese in Germania è da sempre ricordato per le sue gesta in campo, ma ecco che una piccola svista rischia di macchiare la sua immagine.
Il fatto. Il 30 maggio 2007 Fiorentina e Bayern Monaco si accordano per il passaggio in Baviera di Luca Toni per la cifra di 11 milioni di euro. Il giocatore viene chiamato dai suoi agenti per firmare il contratto e tra le domande poste all’attaccante nostrano trova spazio anche una riguardante la religione professata. Luca risponde di essere cattolico, ma viene posta erroneamente una linea sul contratto, segnalando così lo sportivo come ateo. L’anno successivo però, sul contratto, alla voce religione compaiono le lettere k.r. che corrispondono in tedesco a katolisch römisch, ovvero appartenente alla Chiesa cattolica di Roma. In Germania ogni cittadino deve versare circa l’8% del proprio stipendio, variabile da regione a regione, da destinare alla Chiesa che si sceglie, a patto che non ci si professi atei. Pochi giorni fa a Toni è stato imputato di non aver pagato la tassa dal giugno 2007 al giugno 2008, corrispondente al primo anno bavarese. Durante i tre anni trascorsi in Baviera, l’attaccante attualmente al Verona ha guadagnato circa 43 milioni di euro lordi, accumulando un debito solo per il primo anno di 1,7 milioni di euro verso la Chiesa cattolica, e per questo motivo è stato accusato di evasione fiscale e chiamato a presentarsi a giudizio. Toni ha incolpato il suo commercialista di non avergli spiegato il funzionamento della tassazione della Chiesa tedesca, mentre il commercialista accusa l’errore dei dipendenti del Bayern in sede di firma. Presentatisi tutti in tribunale a Monaco, il giudice ha proposto un compromesso: la “multa” tra Toni (700 mila euro), il Bayern (500 mila) ed il commercialista (500 mila). Le parti però non si sono accordate e per questo il 15 luglio si andrà a processo.
Le tasse alla Chiesa in Germania. Al contrario che in Italia, dove il finanziamento è dato dall’8x1000 che ogni contribuente può devolvere allo Stato per scopi di interesse sociale o di carattere umanitario oppure a una ristretta rosa di confessioni religiose con cui esso ha firmato specifiche intese (tra cui la Chiesa cattolica), in Germania sono direttamente i fedeli che attraverso una trattenuta volontaria finanziano la Chiesa. Si chiama Kirchensteuer, “imposta ecclesiastica”, ed è il sistema di finanziamento che vige per le religioni in Germania dalla Costituzione della Repubblica di Weimar (1919-1933), che demanda direttamente alle religioni la cura delle sue risorse senza alcuna mediazione statale. Nel caso di Toni le tasse venivano tutte pagate dal Bayern, mentre quella alla Chiesa cattolica avrebbe dovuto pagarla il calciatore personalmente. I fedeli dunque versando il contributo richiesto hanno il diritto a godere dei “servizi religiosi”, come i sacramenti, in caso di cessazione del pagamento questi perdono l’appartenenza alla Chiesa (tranne in alcuni casi di nullaosta decisi dalla curia locale). Nel 2013 gli ultimi dati forniti rivelano che le varie chiese tedesche hanno incassato circa 5,5 miliardi di euro. Decidere di non pagare la tasse comporta il recarsi all’anagrafe e farsi depennare dal registro dei cattolici tedeschi, con conseguente cessazione dei sacramenti, oltre al’impossibilità di lavorare per istituzioni, scuole o proprietà legate alla confessione “rifiutata”.