L'origine e le nuove frontiere

Ecco che cosa sono le Tpo che stanno ricattando il calcio

Ecco che cosa sono le Tpo che stanno ricattando il calcio
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Si chiamano Third party ownership (Tpo) e ben presto potrebbero cambiare il calcio (anche) in Italia. Si tratta di fondi privati, tendenzialmente con sedi dislocate nei vari paradisi fiscali, che già da tempo speculano su calciatori e società di mezza Europa, e sembra che intendano tuffarsi anche nel mercato calcistico italiano; perché l’Italia pallonara è in crisi, e dove c’è crisi, le Tpo sguazzano.

L’origine di questo fenomeno. Originariamente, le Tpo iniziarono la loro attività nel mondo del calcio acquistando parte, o interamente, i cartellini di giovani e promettenti calciatori: si trattava di una vera e propria azione di talent scouting, con osservatori che giravano il mondo in cerca di futuri campioni da mettere sotto contratto prima che su di loro si avventassero i grandi club. Una volta che questi giovani cominciavano ad ottenere un certo prestigio internazionale, le Tpo promuovevano una loro cessione in base alle offerte economiche più appetibili, intascandosi pressoché l’intero prezzo del cartellino, e lasciando solo le briciole alle società cedenti.

Questo fenomeno, negli ultimi anni, ha avuto una crescita esponenziale: nella sola Europa, ad oggi, i fondi d’investimento sono i reali proprietari di circa 1.100 calciatori, per un valore complessivo di più di un miliardo di euro; fra i Paesi maggiormente toccati, la Spagna (con l’8 percento di quote in mano a Tpo), il Portogallo (36 percento) e l’Olanda (3 percento). Ben più elevati i numeri in Sud America, storicamente terra in cui germogliano grandissimi talenti che poi raggiungono l’Europa per il decollo definitivo della loro carriera: in Brasile, ad esempio, le partecipazioni in giocatori del massimo campionato ha raggiunto il 90 percento.

Per citare alcuni casi: innanzitutto, il celebre trasferimento di Neymar dal Santos al Barcellona dell’estate scorsa, in cui, ufficialmente, il club blaugrana sborsò 57 milioni di euro per assicurarsi il fuoriclasse brasiliano; come emerse successivamente, il vero saldo di Neymar si aggirava introno ai 100 milioni, poiché occorreva considerare la percentuale da versare nella casse del fondo Dis, proprietario del 45 percento del cartellino del giocatore. Oltretutto, Dis costrinse Neymar a cambiare squadra già nel 2013 contro la volontà del giocatore, che certamente intendeva indossare la maglia del Barcellona, ma solo a partire da quest’anno, ovvero dopo i Mondiali disputati in patria.

Altro esempio noto riguarda il trasferimento, nel 2006, di Mascherano e Tevez dal club brasiliano del Corinthians agli inglesi del West Ham: l’artefice di tutta l’operazione fu l’uomo d’affari iraniano Kia Joorabchian (non esattamente un campione di legalità, come emerse tempo dopo) il quale, attraverso il fondo d’investimenti Media Sports Investments, di cui era comproprietario, rilevò l’intera società brasiliana; piccola postilla: Msi era anche proprietaria dei cartellini di Tevez e Mascherano. Con questa situazione, di fatto, i due furono costretti a volare in Inghilterra alla corte del West Ham, non proprio una squadra blasonata in cui due giovani talenti come loro sognassero di giocare, ma che per ragioni economiche venne scelto da Joorabchian e da Msi. In terra britannica furono mesi di inchieste, processi e perfino mandati di cattura internazionale per il manager iraniano; la storia si concluse con una brevissima parentesi dei due giocatori al West Ham (ben presto infatti si trasferirono l’uno al Liverpool e l’altro al Manchester City) e con una nuova legge ad hoc che vieta tuttora in Inghilterra l’ingresso, in qualsiasi termine, delle Tpo nelle quote dei giocatori.

La nuova frontiera delle Tpo: i prestiti alle società. Il quadro finora delineato è già sufficientemente preoccupante: giocatori costretti a cambiare squadra contro la propria volontà e società che non possono trarre benefici economici dalle cessioni dei loro principali talenti. Ma questo è solo l’inizio, poiché quanto sta avvenendo a livello societario da qualche anno è ancor più sconcertante.

Si prenda il caso dell’Atletico Madrid: al termine della stagione 2010/2011, i “colchoneros” si ritrovarono solo settimi in campionato e da tempo eliminati dall’Europa League nonostante fossero i detentori del trofeo. Gli introiti furono quindi molto esigui e, a fronte di un importante debito della società madrilena nei confronti del fisco spagnolo (215 milioni di euro), la situazione sfiorava il tragico. L’Atletico, per saldare i conti tributari, decise di fare cassa nella maniera più immediata per una società di calcio: vendere i giocatori migliori. In quell’estate, infatti, lasciarono Madrid assi del calibro di De Gea, Aguero, Elias e Forlan, per un totale di 85 milioni di euro, con i quali l’Atletico saldò parzialmente i suoi debiti fiscali. Ma, colpo di scena: nel giro di poche settimane, i madrileni tornarono prepotentemente sul mercato, spendendo 40 milioni per acquistare Radamel Falcao dal Porto, 13,5 milioni per Arda Turan dal Galatasaray, più altre operazioni, per un totale di spesa di 91 milioni di euro. Com’è possibile che una società sull’orlo del tracollo finanziario, nel giro di poche settimane non solo si fosse riassestata, ma si permettesse di spendere enormi cifre nell’acquisto di calciatori?

La risposta ha un nome ben preciso: Doyen Sports Investments, un fondo d’investimento privato che finanziò quasi per intero le spese dell’Atletico di quell’estate. Una dinamica apparentemente virtuosa: i Robin Hood di Doyen corrono in soccorso dei poveri madrileni permettendo loro di risollevare le proprie sorti non solo finanziarie, ma anche sportive; al termine della stagione successiva, infatti, i colchoneros vinsero l’Europa League grazie ad un apporto più che decisivo proprio del centravanti Falcao. Ma, in realtà, è questo un sistema estremamente dannoso per il calcio: Doyen infatti non intende regalare soldi a nessuno, imponendo elevatissimi tassi d’interesse (fino al 10 percento) sulle cifre che i suoi debitori, in questo caso l’Atletico, dovranno restituire; non solo, in quanto finanziatore dell’operazione, Doyen è divenuto anche detentore del cartellino di Falcao: ecco perché nell’estate del 2013, con la cessione dell’attaccante colombiano ai francesi del Monaco, dei 60 milioni di euro complessivi del costo del cartellino, l’Atletico ha visto solo spiccioli, tutto è andato nelle tasche del fondo.

In questo modo, una società calcistica non ha la possibilità di una reale programmazione economico-societaria, essendo costretta a dover continuamente ripianare i debiti con i fondi d’investimento, e non potendo assicurarsi mai l’intera proprietà dei suoi giocatori di maggior talento. Il caso ha voluto che l’Atletico ingaggiasse un vero e proprio salvatore, l’allenatore Simeone, che con poca materia è riuscito a compiere un vero e proprio miracolo sportivo, con la conquista dell’ultima Liga e la finale di Champions League, cosa che ha permesso alla società madrilena di poter respirare ancora per qualche tempo, grazie agli introiti derivanti da questi risultati; ma per quanto durerà ancora il “miracolo Simeone”?

Una rete già molto estesa. Quello dell’Atletico Madrid è solo il caso più clamoroso di questa folle dinamica. Nonostante il divieto della Football Association, la Premier è anche uno dei simboli del modo di agire delle Tpo, che fioriscono soprattutto quando una squadra è in difficoltà e cerca di tenere il passo con le grandi. Secondo un’indiscrezione riportata da Bloomberg a fine settembre, un fondo con sede delle Isole Vergini, chiamato Vibrac, avrebbe finanziato in maniera occulta alcuni club come lo stesso West Ham, l’Everton e il Southampton, arrivando a staccare assegni fino a 200 milioni di euro. Come? Sia come proprietari di quote di cartellini di giocatori, sia comportandosi come una vera e propria banca in grado di erogare prestiti per far respirare le casse di squadre, come il Southampton, che negli anni passati ha vissuto gravi problemi di bilancio che ne hanno messo a rischio l’esistenza.

I club, già in difficoltà economiche, a garanzia dei pagamenti avrebbero messo a disposizione i proventi futuri dai diritti tv. Il West Ham, che viaggia su debiti pari a circa 70 milioni di sterline, già nel 2013 aveva impegnato 60 milioni di sterline dai futuri guadagni dalle televisioni. Altri 10 milioni di sterline la Vibrac li ha prestati al Reading: il club di Championship (la serie B britannica) quest’estate è stato messo sul mercato dai proprietari, incapaci di fare fronte ai debiti; dopo la retrocessione dalla Premier League, avevano messo a disposizione di Vibrac il “paracadute” economico che la Premier stessa elargisce a chi arriva tra le ultime tre in classifica, per sanare almeno in parte questi debiti. Discorsi analoghi potrebbero essere fatti per Porto, Benfica, Valencia o Siviglia. Così facendo, impegnando qualsiasi futuro introito nelle compensazioni con i fondi d’investimento, una squadra non avrà mai la possibilità di progettare finanziariamente e di ottenere la necessaria indipendenza economica.

Un possibile sbarco in Italia. Il calcio italiano, con la profonda crisi sia sportiva che economica in cui versa da qualche anno a questa parte, rappresenta un golosissimo mercato per le Tpo, nonostante i divieti vigenti, che però, come visto, valgono davvero poco. Doyen infatti pare intenzionata a investire almeno 200 milioni di euro in prestiti alle società italiane, la maggior parte delle quali naviga in acque finanziariamente più che burrascose (i debiti totali dei bilanci del calcio italiano ammontano a poco meno di 3 miliardi di euro).

Perché, se da un lato alcune società stanno tentando di modernizzare la propria struttura finanziaria e societaria (Inter e Roma) o di ottenere ricavi da vie per ora inesplorate dalle nostre parti (gli stadi di proprietà di Juventus e Udinese), la maggior parte dei restanti club vive ancora fondamentalmente sugli introiti televisivi, i quali, a fronte di  un’immediata disponibilità di liquidi, verrebbero impegnati per chissà quanto tempo nel saldo dei debiti con le Tpo.

L’impegno di Fifa e Uefa. Quello analizzato è un quadro decisamente preoccupante, dove i calciatori diventano merci dipendenti dalle volontà dei proprietari di fondi d’investimento che con la realtà calcistica non c’entrano nulla, e le società sono vittime di questi avvoltoi della finanza che, dietro una maschera di salvatori e benefattori, approfittano delle difficoltà economiche per scavare tombe ancor più profonde ai club. Uefa e Fifa stanno cercando di realizzare un sistema di controlli volto a creare un vero ostacolo a pratiche di questo genere; per il momento però, di risultati ancora non se ne sono visti.

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