Tragedia di Azzano, intervista esclusiva al papà di Matteo Ferrari: «La ragazza di Scapin dica la verità»
Per la prima volta dopo la sentenza (condanna a 6 anni e 8 mesi), parla il padre del 18enne ucciso la sera tra il 3 e il 4 agosto 2019 insieme all'amico Luca Carissimi: «Non sono riuscito a tutelare mio figlio neanche da morto. Hanno fatto passare Scapin come vittima di un branco»
di Maria Teresa Birolini
«Come padre non riesco a tutelarlo nemmeno da morto». Su una panchina di fronte al Monumentale di Bergamo, Alessio Ferrari parla per la prima volta da quella maledetta notte fra il 3 e 4 agosto 2019. Matteo, il suo secondogenito, morì ammazzato insieme a Luca Carissimi dopo essere stati travolti dalla Mini Cooper guidata dal 34enne Matteo Scapin. All’origine dell’incidente di Azzano San Paolo sembra ci fosse stato un diverbio avvenuto all’interno del Setai di Orio tra Scapin e i ragazzi, pare per un apprezzamento di troppo alla sua fidanzata. La sentenza è arrivata venerdì 11 settembre lasciando sgomente le famiglie delle vittime: il giudice ha qualificato il reato come omicidio stradale colposo e riconosciuto l’attenuante del concorso di causa: 6 anni e 8 mesi di condanna.
Qual è stato l’ultimo momento in cui ha visto Matteo, lo ricorda?
«No, in realtà lo vedo tutti i giorni - racconta Alessio Ferrari -. Ripenso però spesso al fatto che si era appena diplomato all’Istituto Galli e che come genitori volevamo regalargli una settimana a Riccione con gli amici, era contento. Dopo qualche giorno era venuto da noi per dirci che i due amici con cui voleva andare non ne avevano la possibilità, così mi aveva chiesto di lasciargli vivere una settimana come se fosse al mare, senza orari troppo rigidi, con gli amici. Diceva: “Non faremo nulla di speciale: una pizza, una serata a ballare, quattro risate prima di rientrare a casa in piazza Sant’Anna”. Sere d’estate leggere come si è leggeri a 18 anni, senza pensieri. Se fosse andato a Riccione magari...».
Cosa è accaduto nell’aula del Tribunale di Bergamo venerdì scorso?
«L’udienza è iniziata alle 9.20 e si è conclusa alle 17.45. Il giudice fin da subito ha ribadito che intendeva concludere tutto in giornata. Ero presente con mia moglie, mio figlio Gianluca ha voluto restare a casa, vive questa tragedia da ventunenne al quale manca terribilmente il fratello. Stiamo parlando di due persone che sono state uccise, un ragazzo di 18 anni, Matteo, e uno di 20, Luca. Il giudice delle indagini preliminari, Vito Di Vita, dopo poche ore dall’accaduto, in quella notte di un anno fa, aveva ritenuto che il fatto fosse riconducibile a un omicidio stradale e aveva concesso gli arresti domiciliari allo Scapin. Da allora questo signore alloggia a casa del nonno, la famiglia si è avvalsa immediatamente dei due studi legali fra i più quotati in città, Tropea e Pezzotta».
Che posizione aveva assunto il Pubblico ministero?
«Il Pm che inizialmente aveva preso in carico questo caso, la dottoressa Latorraca (che in seguito ha dovuto lasciare per vicissitudini personali), aveva presentato ricorso al Tribunale del Riesame e aveva ottenuto la riqualificazione dell’accusa in omicidio volontario».
Arriviamo all’udienza di venerdì scorso.
«Il giudice era il dottor Magliacani. Era stato concesso il giudizio abbreviato, condizionato dalla comparazione delle perizie tecnico-cinematiche, quella della difesa e quella dell’accusa, entrambe della Procura del Tribunale di Bergamo. Ce n’è una terza, che abbiamo fatto predisporre noi come famiglia, ma non è stata ammessa come perizia valida per motivi legati alla normativa. Mi assumo la responsabilità di ciò che dico: ho constatato una strana anomalia. Il Giudice ha fatto pochissime domande per la perizia della difesa mentre ha incalzato con un fiume di domande il perito dell’accusa, mettendolo anche in imbarazzo. Ho avuto la sensazione che qualcosa non tornasse. Nell’esposizione degli avvocati c’è una prova inconfutabile: un filmato della Polizia che parla da solo, se lei lo guardasse si chiederebbe il perché ci sia stato bisogno di fare un processo».
Cosa si vede?
«L’incrocio dove c’era l’autovettura dello Scapin che si immette in via Bergamo e insegue lo scooter schiacciandolo sul guardrail. Parliamo di un uomo di 34 anni, con a bordo la sua ragazza di 26. Anche qui, voglio sottolineare che durante gli interrogatori fatti a queste persone ogni volta le versioni di entrambi cambiavano».
Scapin non si è mai presentato alle udienze...
«Una perizia psicologica agli atti del processo sostiene che il soggetto soffra di una maturità incompiuta. E quella sera era ubriaco. Io ritengo che questa persona non abbia sentito nemmeno il dovere morale di metterci la faccia e rispondere delle proprie azioni».
Andiamo avanti con quanto accaduto.
«Luca e Matteo erano al Setai con altri quattro amici, in tutto erano in sei. La difesa, invece, nella sua arringa, sentendo un amico dell’investitore che testimoniava di come in effetti fuori dal locale i ragazzi si fossero strattonati, parla di quaranta persone attorno allo Scapin. Questa teoria ha fatto passare Matteo Scapin per vittima di un presunto branco, dove l’inseguitore è diventato l’inseguito. Matteo, mio figlio, con il casco aveva rotto il lunotto dell’auto dello Scapin, ma dietro la macchina dello Scapin c’era una Volkswagen con a bordo tre passeggeri che non conoscevano nessuno dei giovani coinvolti nell’incidente. Queste tre persone hanno testimoniato in modo chiaro l’accaduto: “Abbiamo visto chiaramente che la Mini Cooper dello Scapin è partita velocemente e ha puntato i due ragazzi speronandoli e uccidendoli. Lasciandoli sull’asfalto e andandosene senza fermarsi a prestare aiuto”».
Una testimonianza preziosa.
«Sì, peccato che la difesa abbia sostenuto che lo Scapin è partito di gran lena perché a 50 metri (dietro la Volkswagen) c’era un’altra auto, con a bordo due amici di Luca e Matteo. Lo Scapin quindi avrebbe accelerato per scappare da questi amici di mio figlio e preso dal panico avrebbe guardato lo specchietto retrovisore urtando accidentalmente lo scooter. Ricordiamoci che stiamo parlando di una persona in stato di ebrezza. La difesa ha cavalcato la teoria del branco, di quello che si è difeso per proteggersi...