Tripadvisor, sbafatori e affini Critici gastronomici, anche basta!
Internet ha un vantaggio: offre a chiunque la possibilità di esprimersi, di dire la propria su qualsiasi argomento. Cosa che, però, ha anche un’altra faccia della medaglia, ovvero che non c’è alcun tipo di garanzia sulla validità e la veridicità di quel che si legge, dato che non si può verificare in nessun modo la competenza di chi scrive. Si tratta di una tendenza che aumenta in maniera direttamente proporzionale alla diffusione dell’argomento in questione, anche perché poche cose accomunano l’umanità tutta quanto il mangiare. I palati sempre più fini ed esigenti delle persone, oltre che la necessità di riuscire a scovare ristoranti in cui si possa gustare piatti prelibati spendendo il meno possibile, hanno portato il mondo digitale orbitante intorno al cibo a sfornare, grazie a blog e siti specializzati, una quantità sterminata di critici gastronomici, talvolta competenti ma molto più spesso alquanto improvvisati. E dire che si pensava che i vari TripAdvisor e affini potessero soppiantare la privilegiatissima casta di coloro che per mestiere, e spesso da mestieranti, giravano locali mangiando vere e proprie leccornie senza nemmeno sborsare uno spicciolo.
Una casta che se ne approfitta: Gli sbafatori. Pochi lavori affascinano come quello del critico gastronomico: il fatto di guadagnarsi il pane senza far altro che mangiare, tendenzialmente ad un buon livello, ed esprimere il proprio giudizio rappresenta una sorta di Eden esistenziale per chiunque. Ma ahinoi sono in pochi coloro che possono vantare il privilegio di poter definirsi tali, professionalmente parlando; ai restanti comuni mortali non resta che seguire i consigli di questa manciata di eletti e verificare di persona se effettivamente la tal lasagna o i tali ravioli valgano veramente la pena, senza ovviamente essere pagati per farlo. Non fosse che, come se già non godessero di sufficienti benefici, i critici gastronomici negli ultimi anni hanno cominciato ad approfittare un po’ troppo della loro posizione. Camilla Baresani, scrittrice bresciana da sempre dedita a mettere nero su bianco tutto ma proprio tutto quanto riguarda il favoloso mondo delle cibarie, è appena uscita con il suo ultimo libro, il cui titolo lascia poco spazio ad interpretazioni: Gli sbafatori. Il j’accuse è direttamente rivolto a tutti, e tanti, quei critici gastronomici che hanno fatto del loro mestiere ormai solo un’ottima scusa per abbuffarsi gratuitamente in giro per l’Italia. A sentire la Baresani, che sia chiaro è una voce autorevole e non una semplice invidiosa, la casta dei critici ha ormai perso ogni tipo di deontologia professionale, scroccando luculliani pasti a zero euro e spesso addirittura godendosi interi periodo in resort di lusso a mangiare e bere senza la preoccupazione di dover avere appresso il portafogli. Ma perché glielo lasciano fare? Il motivo è semplice: l’arma della recensione negativa è costantemente a portata di penna.
Il web non ha aiutato. Il proliferare di blog e siti a tema in merito alla critica gastronomica dovrebbe aver dato una spallata decisiva a queste dinamiche viziose, poiché chiunque voglia sapere se quel dato ristorante fa o meno una buona pasta alla carbonara non deve far altro che andare su TripAdvisor o un qualunque altro sito affine e leggere cosa un comune cliente ne pensa. Niente accenni ad astrusi concetti culinari, semplicemente «È buono, andateci», oppure «Lasciate perdere, non ne vale la pena». E invece, dice la Baresani, la situazione è semplicemente peggiorata. Come presi da un misterioso fuoco sacro alimentato da un presunta scienza innata, su internet tutti si improvvisano raffinati critici gastronomici, rendendo il quadro ancor più caotico di prima. Essere trancianti è sinonimo di competenza, più si è complicati più si appare capaci e degni di fiducia: sono regole non scritte della critica informatica che Baresani denuncia. Internet diviene così un luogo in cui sfogare le proprie frustrazioni e i rancori maturati in una serata al ristorante contro cuochi, camerieri e proprietari, dando così false informazioni. Fino alla questione più elementare di tutte: di cibo, in fondo, non è così facile capirne davvero. In un contesto, dunque, in cui i vecchi critici, quei pochi rimasti, ne approfittano, e in cui quelli nuovi si sentono più che altro dei giudici, ottenere informazioni veritiere su cibi è ristoranti è pressoché impresa impossibile. Non resta l’antico e tradizionale metodo: accomodarsi, ordinare, mangiare e considerare se ne è valsa la pena o no. E alla fine, naturalmente, pagare.