putin all'erta, mentre l'europa trema

Trump ritira i soldati dal confine e la Turchia riprende a guerreggiare

Trump ritira i soldati dal confine e la Turchia riprende a guerreggiare
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Che cosa sta realmente accadendo al confine tra Turchia e Siria? All’origine di questa drammatica ripresa della guerra in una terra così martoriata ci sta la decisione di Donald Trump, nella notte fra sabato 5 e domenica 6 ottobre, di ritirare «il più presto possibile» i mille militari statunitensi ancora nella regione ha scatenato una corsa di tutte le forze in campo. Con il linguaggio che gli conosciamo Trump ha annunciato di volersi tirare fuori da «queste stupide guerre». E poi ha specificato: «Le truppe Usa non possono restare in Siria per altri 15 anni controllando il confine con la Turchia quando non riusciamo a controllare il nostro». Il presidente si è mosso contro la volontà dell’apparato militare, tanto che il lunedì il dipartimento della Difesa, guidato da Mark Esper, sembra avere fatto mezzo passo indietro, una specie di correzione in corsa della decisione di Trump: ha chiarito che il ritiro riguarderà solo una piccola parte dei soldati americani presenti in Siria e ha specificato di «non appoggiare un’operazione nel nord della Siria» da parte della Turchia.

 

 

È stata una precisazione tardiva, perché nel frattempo Erdogan ha mosso le sue truppe, per prendere possesso della fascia di sicurezza in territorio siriano, quella fascia che è stata presidiata dai curdi, con la protezione degli americani. Erdogan vuole arrivare al regolamento dei conti nei confronti dei curdi, contro i quali la Turchia ha sempre esercitato una politica violentemente discriminatoria. I curdi sono stati l’avamposto nella comune lotta contro l’integralismo jihadista, per questo hanno avuto la protezione degli americani e hanno messo Erdogan nell’obbligo di lasciarli agire. Grazie alle loro conquiste sul campo e al ruolo riconosciuto dalla comunità internazionale, i curdi siriani sono riusciti a controllare un territorio molto vasto, pari a circa un quarto della Siria. Erano stati i curdi nel 2015 a riconquistare la città simbolo come Kobane, situata all’estremo di quell’area di sicurezza ora messa nel mirino dal presidente turco.
Erdogan è nelle condizioni di tenere sotto scacco tutti. Infatti la Turchia è Paese membro della Nato, e un suo eventuale avvicinamento a Putin, di cui si sta parlando in queste ultime ore metterebbe in grave imbarazzo l’Alleanza atlantica: ma la Turchia non tiene aperto un solo forno: è stato Putin a vendere un sistema di difesa antimissile S-400 di fabbricazione russa. Anche la minaccia dell’embargo viene vista senza troppe preoccupazioni, in particolare per quanto riguarda lo stop alla vendita di armi da parte dei Paesi occidentali. Soprattutto il presidente turco ha l’arma per mettere in grave difficoltà l’Europa.

 

 

In base all’accordo del 18 marzo 2016 sull’emergenza migranti, la Turchia si è fatto carico della gestione di centinaia di migliaia di profughi, provenienti in particolare dalla Siria. In sostanza in questi tre anni ha filtrato i flussi dall’Est, convinta da sostegni a suon di miliardi da parte dei Paesi dell’Unione europea. Se ora venisse meno a quegli accordi, l’Europa si troverebbe ad affrontare una nuova, drammatica emergenza. Con un’America sempre più concentrata sulle questioni interne e un’Europa impaurita dalle prospettive di nuove andate migratorie, chi esce rafforzato è senz’altro Putin, sempre più vero dominus della regione.

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