L'elezione del presidente della Repubblica

Le ultimissime sul Quirinale Scricchiola il patto del Nazareno

Le ultimissime sul Quirinale Scricchiola il patto del Nazareno
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Martedì 27 gennaio le consultazioni, mercoledì 28 gli incontri: Matteo Renzi, dopo aver passato tutto martedì ad accogliere e ascoltare proposte e pretese dei partiti più o meno vicini al suo Governo per la corsa al Quirinale, mercoledì ha invece aperto le porte del Nazareno a due grandi nemici/amici: prima, a pranzo, Silvio Berlusconi, poi, per un veloce scambio di battute, Pier Luigi Bersani. L'incontro più atteso, naturalmente, era quello con il Cav, dopo che l'ex premier aveva deciso di non presentarsi alle consultazioni ufficiali su consiglio dei suoi due uomini di maggior fiducia, ovvero Gianni Letta e Denis Verdini. Sono infatti ora di grande tensione, in cui nella partita del Quirinale si gioca anche gran parte del patto del Nazareno. Silvio Berlusconi ha tutte le intenzioni di non mollare la presa: nessun nome apertamente di sinistra, il preferito tra i possibili candidati è Giuliano Amato. Il Cav vorrebbe tentare di salvare la faccia, cioè ottenere un nome che gli permetta di dire apertamente che è compartecipe della scelta. D'altro canto, però, Renzi non ci sente proprio per quanto riguarda Amato: il suo nome forte è Mattarella e sta facendo di tutto per tentare di farlo digerire a Berlusconi, che invece non apprezza questo candidato.

In seguito al pranzo tra le due prime donne della politica nostrana, è stato Renzi a parlare: «Sono contraente del patto del Nazareno e lo rivendico. Il capo dello Stato lo abbiamo fatto sempre con Fi, ma questo non significa che prendiamo il loro nome. Non possiamo accettare veti». Un messaggio chiaro: attenzione a non tirare troppo la corda, perché di assi nella manica ne ha più Renzi che Berlusconi. Anche perché «il candidato può arrivare anche da fuori dal Nazareno». Tra questi, ad esempio, Anna Finocchiaro: politica di esperienza, di sinistra ma moderata e con buoni rapporti con diversi esponenti del “vecchio” centrodestra, affidabile e, soprattutto, donna. Renzi ha già dimostrato di apprezzare particolarmente questo fattore nei momenti delle difficoltà: dalla Mogherini in Europa all’ipotesi Lia Quartapelle (poi naufragata) alla Farnesina. Senza contare che la Finocchiaro è una candidata gradita da Sel e anche da diversi esponenti del centro. La paura di Berlusconi, però, come spiega Huffington Post, è che alla fine, in una situazione di stallo, Renzi riesca a far passare il messaggio che «questo è il nome che io offro al Paese, questa banda di incapaci nel Palazzo si sta di nuovo incartando. E sarebbe il “suo”, non il candidato del Nazareno».

Naturalmente, al momento, non escono indiscrezioni sul pranzo di due ore avvenuto tra Renzi e Berlusconi. Sempre a palazzo Chigi, Renzi ha accolto anche il collega di partito Pier Luigi Bersani. Un incontro lampo, durato meno di 15 minuti, ma anticipato da lunghe chiacchierate al telefono. Renzi ha sottoposto al gradimento dell'ex segretario Pd due nomi come possibili candidati nel caso in cui il patto del Nazareno dovesse naufragare: Piero Fassino e, una volta di più, Sergio Mattarella. Entrambi hanno ricevuto l'approvazione di Bersani. Il gioco che sta giocando il premier in questo momento è molto semplice: evitare in ogni modo la possibilità che Amato salga al Quirinale. Come spiega sempre l'Huffington Post, teme i suoi agganci europei, teme l’ombra del Colle su Palazzo Chigi e la politica estera che vuole dirigere in prima persona, come sta già facendo, costruendo rapporti personali con i leader europei. Per questo Fassino o Mattarella, che vorrebbe dire anche, in parte, rimettere il Pd al centro del suo progetto, cosa molto gradita da Bersani, che non ama i modi del premier ma non apprezza neppure i capricci di Civati e Fassina. Intanto, domattina, c’è l’assemblea dei grandi elettori del Pd e qualcosa in più potrebbe capirsi.

 


Nel frattempo, in queste ora concitate, sul blog di Beppe Grillo sono apparsi i dieci nomi dei candidati presidenti della Repubblica che i pentastellati hanno deciso di sottoporre alla rete nella mattina del 28 gennaio. La rosa è composta da Pierluigi Bersani, Raffaele Cantone, Lorenza Carlassare, Nino Di Matteo, Ferdinando Imposimato, Elio Lannutti, Paolo Maddalena, Romano Prodi, Salvatore Settis e Gustavo Zagrebelsky. Spicca l'assenza di Rodotà, il nome su cui i grillini avevano puntato forte nel 2013, ma colpisce, invece, la presenza di sue nomi in particolare: Bersani e Prodi. Non due nomi qualunque, bensì due nomi che potrebbero anche andare a rompere il patto del Nazareno. Sarebbe difficile infatti, per Renzi, dire di no soprattutto al nome di Bersani, che non solo è un'anima del Pd, ma i è ancora dentro al Pd.

La giornata delle consultazioni. Per capire ciò che è accaduto a palazzo Chigi, bisogna però partire, per forza di cose, dalle consultazioni. Tutte le forze politiche si sono presentate al largo del Nazareno per parlare con il premier, escluso il Movimento 5 Stelle, che ha anzi apertamente criticato, per non dire aggredito (verbalmente), i 9 dissidenti freschi freschi di uscita dal gruppo pentastellato e che hanno invece deciso di recarsi all’incontro con Renzi. Come hanno dichiarato i tanti rappresentati politici, durante il confronto con il primo ministro non sono stati fatti nomi. Son stati tracciati molti identikit, per lo più simili tra loro, ma dei nomi neppure l’ombra. Nuovo Centrodestra, alleato del Pd al Governo, nella figura di Angelino Alfano ha deciso di allinearsi alla linea strategica tracciata da Renzi, ma di non piegarsi a tutte le richieste dei democratici: «Non abbiamo posto veti e non abbiamo ricevuto diktat» ha dichiarato il ministro degli Interni, che ha poi spiegato come il nome di Ncd sarà un nome super partes, possibilmente di centrodestra, ma sicuramente con una forte esperienza politica alle spalle. Meno moderati, come da previsione, i leghisti: Matteo Salvini è arrivato al Nazareno senza grandi attese ed è uscito senza aver cambiato idea. La certezza è che il Carroccio dirà no ad Amato e Prodi. A Renzi, Salvini ha detto che il futuro presidente dovrà essere «una persona che è stata eletta dal popolo almeno una volta nella sua vita». Strana dichiarazione per chi, nei dibattiti televisivi, porta avanti i nomi di Caprotti, numero uno di Esselunga, e Feltri, che in politica non ci sono mai stati.

La giornata s’è chiusa con la minoranza del Pd compatta sull’idea di non assecondare la linea strategica del premier e di portare avanti invece il nome di Romano Prodi, forse come memorandum di quell’elezione del 2013, quando, secondo Stefano Fassina, Matteo Renzi guidò i 101 franchi tiratori che affondarono la candidatura dell’ex primo ministro. Gli ultimi a recarsi al Nazareno, intorno alle 19, sono stati invece i rappresentati di Forza Italia, i quali hanno confermato, in linea di massima, l’appoggio a Renzi, sempreché il nome proposto sia un nome gradito al Cav. E così si torna al pranzo avvenuto a palazzo Chigi.

La strategia di Renzi. Matteo Renzi, sebbene non abbia ancora fatto filtrare alcun nome ufficiale impaurito dalla possibilità di bruciarlo, non ha mai fatto segreto della sua linea strategica, più volte dichiarata e condivisa con altre forze politiche (Ncd e FI su tutte): alle prime tre votazioni, che si svolgeranno tra giovedì pomeriggio e venerdì, verrà presentata scheda bianca; la vera partita inizierà sabato mattina, quando il premier spera addirittura di arrivare direttamente al nome giusto. Una strategia che non nasconde l’insicurezza sui numeri da parte dell’attuale maggioranza, ma anche una certa coscienza dei precari equilibri in gioco: nelle prime tre votazioni, infatti, è necessaria la maggioranza qualificata per l’elezione del presidente della Repubblica, ovvero 675 voti favorevoli. Una cifra a cui Renzi può arrivare, nel Parlamento attuale, solo con un miracolo. Dalla quarta votazione, invece, il numero di voti necessario scende a 505 (maggioranza assoluta), una quota decisamente più realistica e raggiungibile con un accordo eterogeneo tra le forze politiche in gioco. La scelta è molto chiara: evitare di bruciare un candidato realistico nei primi due giorni di voti.

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