La dichiarazione shock dei paleopatologi

Ultim'ora. Cangrande della Scala è morto per avvelenamento!

Ultim'ora. Cangrande della Scala è morto per avvelenamento!
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Dunque, secondo il professor Gino Fornaciari e il suo team di paleopatologi dell’università di Pisa, che ne hanno studiato la mummia, Cangrande della Scala, signore di Verona e - nei suoi ultimissimi giorni - anche di Vicenza, Padova e Treviso, deceduto addì 22 luglio 1329 in età di anni 38,  sarebbe morto avvelenato. Intenzionalmente o per errore non si sa ancora, e forse non si saprà mai. Da chi, è ancor meno probabile che lo si venga a sapere. Di certo si sa soltanto che il decesso del paziente non può essere ascritto ad infezione di natura batterica o virale, come per l’innanzi ritenuto. Qualcuno deve invece aver aggiunto un estratto di digitale purpurea nella tisana di camomilla e bacche di gelso destinata ad esser l’ultima bevanda della sua vita.

Sfortunatamente per gli attentatori, si è detto, i professori pisani hanno potuto condurre le loro indagini perché la salma del soggetto in questione non venne né cremata né semplicemente collocata in una bara: fu invece imbalsamata (mummificata) prima di essere posta nel sepolcro collocato nella chiesa di Santa Maria Antiqua nella città che sarebbe poi stata di Giulietta e Romeo. Detta mummia fu riesumata anni fa e oggi il referto delle analisi di laboratorio è stato presentato non al giudice di turno ma alla redazione della prestigiosa rivista americana Archaelogical Science specializzata, appunto, in ricerche su defunti d’annata.

Cosa è scritto sul certificato redatto dai componenti dell’equipe pisana? Che nel tratto intestinale dello Scaligero sono state rinvenute tracce significative di Matricharia chamomilla e di Morus alba e nigra, due specie di gelso, le cui more - da cui il nome scientifico della pianta - possono essere, al pari dei capolini della precedente, usate nella preparazione di bevande digestive o purificanti. Il signore ha assunto la tisana pensando di calmare i dolori prodotti dal veleno? O il veleno era mescolato alla bevanda?

Il fatto ha un valore relativo perché a produrre la morte non sono state le due sunnominate specie arboree e arbustiva, bensì una elevata concentrazione di Digoxina e Digitoxina, due molecole provenienti da piante di Digitalis purpurea. Quest’ultima è terapeutica (si usa in cardiologia) se assunta sotto controllo medico, è un veleno micidiale se la si prende a caso o, peggio, se qualcuno eccede intenzionalmente nel dosaggio. Fatto sta che nell’ultimo tratto intestinale, nel fegato e nelle feci del Signore di Verona ce n’è - spiace dirlo - decisamente troppa.

Dato che le cronache del tempo parlarono di decesso verificatosi a seguito di violenti attacchi di vomito accompagnati da diarrea e febbre elevata, le osservazioni del prof. Fornaciari consentono di delineare un quadro patologico coerente con un caso di avvelenamento. La versione popolare della vicenda, che attribuiva la morte del signore al fatto di aver bevuto l’acqua di una fontana contaminata, viene così a perdere consistenza. D’altra parte non ce lo vediamo proprio un potente che beva a una fontana senza prima accertarsi accuratamente che sia potabile. Tanto più che nei giorni precedenti l’ingresso trionfale nelle città conquistate erano morti molti uomini e un certo numero di animali (cavalli) i cui resti abbandonati - secondo l’uso - nelle campagne circostanti avranno certamente infettato le acque di superficie con relativi pozzi e fontane.

Termina così la vicenda umana di Can Francesco della Scala detto il Grande, che fu figlio di Alberto I della Scala e di Verde di Salizzole (proprio un bel nome per una bambina, oggettivamente). Signore di Verona dal 1308 al 1311 assieme al fratello Alboino dopo la morte prematura del primogenito Bartolomeo e da solo dal 1311 fino all’avvelenamento, divenne - di successo in successo - il capo dei Ghibellini italiani.

Abile in guerra, ottimo diplomatico, severo amministratore dei beni della famiglia, ne proseguì la tendenza al mecenatismo avveduto. Dante Alighieri, che era già stato accolto in casa dei Della Scala da Bartolomeo con l’incarico di capo della segreteria diplomatica, gli dedicò la terza e sublime cantica del suo poema, il Paradiso. Un regalo che assicurò al nostro Cangrande una fama che nessuna delle sue imprese - per quanto fortunate - sarebbe mai riuscita a garantirgli. Potenza della comunicazione.

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