Un mare bianco per la Sardegna

Un mare bianco sulla terra di Sardegna. Le immagini diffuse in queste giorni da televisioni, siti e giornali colpiscono l’immaginario collettivo e fanno capire come la battaglia dei pastori sardi non sia solo una battaglia in difesa di un proprio interesse. È qualcosa che tira in gioco il modello di produzione agricola, la politica, l’identità di un territorio, il suo futuro. Il tutto a poche settimane da un voto regionale che potrebbe avere delle belle ripercussioni anche sul governo nazionale. Insomma il latte versato dagli allevatori e dato in pasto ai maiali è un segno dei tempi...
La questione può essere condensata in tre cifre. Nel 2018 il latte di pecora veniva pagato 0,85 centesime al litro. Oggi siamo a 0,60. Per quello caprino il prezzo è addirittura più basso, di 0,50. La Sardegna è la prima prima regione italiana come numero di capi ovini da latte con oltre tre milioni di capi (44 per cento del totale italiano) mentre sono 2.908.749 i litri di latte. Grazie a questo latte vengono prodotti oltre trecentosessanta mila quintali di pecorino romano, che per il 60 per cento volano verso gli Stati Uniti. La filiera è regolata da quote di produzione che non dovrebbero essere superate dai vari caseifici. Il consorzio di tutela del pecorino romano dop deve vegliare sul rispetto delle quote di produzione, ma le multe sono considerate irrisorie da molti produttori e così spesso le quote non sono state rispettate. Questo ha determinato il progressivo crollo del prezzo del formaggio, passato dai dieci euro al chilo del 2015 ai sei euro di oggi.
Le conseguenze a catena sono quelle che determinano le proteste di questi giorni: prezzo del latte crollato, perché si è drasticamente abbassato il valore del prodotto finale. Per questo Coldiretti ha chiesto di procedere immediatamente al commissariamento del Consorzio di tutela del Pecorino Romano Dop, responsabile con le sue scelte del crollo del mercato che ha messo in ginocchio gli allevatori. Secondo le cifre rese note dalla stessa Coldiretti, in gioco c’è, oltre il futuro di migliaia di famiglie, anche l'avvenire di un settore economico strategico per il Made in italy e per l’intera Sardegna dove il 70 per cento del territorio è destinato al pascolo.
L’accusa dei pastori e della Coldiretti è che le industrie casearie abbiano fatto cartello. Le norme sulla concorrenza vietano infatti «qualsiasi comportamento del contraente che, abusando della propria maggior forza commerciale, imponga condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose. Fra queste sono comprese qualsiasi patto che preveda prezzi particolarmente iniqui o palesemente al di sotto dei costi di produzione». Infatti nel mese di gennaio il prezzo medio del latte di pecora è stato pari a 62 centesimi al litro iva inclusa, corrispondenti a 56 centesimi iva esclusa. Nello stesso mese, però, i costi di produzione iva esclusa hanno raggiunto i 70 centesimi segnando un margine negativo per le aziende produttrici di 14 centesimi ogni litro di latte. Felice Floris, leader del Movimento dei pastori sardi, la principale delle organizzazioni che conducono la protesta di questi giorni, ha lanciato anche una proposta per tamponare l’emergenza: spostare dal mercato venti milioni di pecorino romano da destinare ai bisognosi in Italia, ma anche all'estero, per esempio in Africa. Se ne parlerà il 21 febbraio nell’incontro al ministero dell’Agricoltura. Certamente tifiamo tutti per la Sardegna e quel suo modello di sviluppo così rispettoso del territorio e della propria tradizione.