Un tedesco a guidare gli Uffizi per un'arte sempre più mondiale

Da ieri non c’è notiziario che non rilevi il fatto che dei venti nuovi direttori dei principali musei italiani sette - il 35 percento - sono stranieri. Per controbilanciare l’idea che si tratti della versione aggiornata delle invasioni di Franchi o di Goti si ricorda che, fra gli italiani, alcuni sono tornati dall’aver coperto prestigiosi incarichi all’estero. Analoga attenzione è dedicata alla par condicio fra maschi e femmine: dieci per parte. La nomina che ha fatto più scalpore è quella di un tedesco agli Uffizi, al posto del notoriamente bravissimo Antonio Natali. Sulla pagina del MIBACT (Il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo) le schede dettagliate, curriculum dopo curriculum, dei nuovi direttori. Tutte persone di prim’ordine, senza dubbio.
Vittorio Sgarbi ha subito dichiarato il proprio disaccordo col metodo seguito dal Ministro Franceschini, che invece di ricorrere ai soliti suggerimenti dei soliti esperti ha preferito la forma del concorso: «All'epoca avremmo fatto un concorso di idee fra Michelangelo e Raffaello? ma che vuol dire…», ha detto ad Huffington Post. È vero, nessuno ha mai pensato a un concorso fra i due sunnominati. Però qualche tempo prima - e proprio a Firenze - un concorso c’era stato: quello per le formelle del Battistero, nel quale il Ghiberti ebbe la meglio su concorrenti di un certo rilievo come Filippo Brunelleschi e Jacopo della Quercia. Alcune delle opere presentate sono ancor oggi visibili al Bargello. Che i bassorilievi della “porta del paradiso”, come la chiamò D’Annunzio, siano l’esito di un concorso pubblico non ci pare tolga niente al loro splendore.
«E poi, - aggiunge Sgarbi - il presidente della Commissione selezionatrice, il mio amico Paolo Baratta, è diventato presidente della Biennale di Venezia per concorso? non mi pare. È il principio che è sbagliato». Sbagliato il principio del concorso? e perché mai? Quando - ai tempi - un principe o un re voleva disporre di qualcuno che gli promuovesse l’immagine, non si preoccupava di dove andarlo a pescare: gli bastava che fosse il migliore in assoluto. Quando, vent’anni prima della Rivoluzione Francese, il duca di Modena Francesco III d'Este ebbe bisogno di un dotto in grado di succedere al Muratori nella direzione della sua prestigiosa Biblioteca estense scelse Girolamo Tiraboschi che, come sappiamo, proveniva da Bergamo. Rispetto a Modena, era come Friburgo, la città in cui è nato Eike Schmidt, neo Direttore degli Uffizi.
Ma proviamo a leggere la sua scheda:
Eike Schmidt – 47 anni, storico dell’arte. Tedesco, nato a Friburgo in Brisgovia, si è laureato in storia dell’arte medievale e moderna alla Ruprecht-Karls-Universität di Heidelberg nel 1994. Nella stessa università ha conseguito con lode, nel 2009, il dottorato di ricerca in storia dell’arte con una tesi su “La collezione medicea di sculture in avorio nel Cinque e Seicento”. Dal 2009 è curatore e capo del dipartimento di scultura, arti applicate e tessili del Minneapolis Institute of Arts. Ha lavorato e vissuto a lungo in Italia, in particolare a Firenze, dove dal 1994 al 2001 è stato borsista e ricercatore presso il Deutsches Kunstshistorisches Institut. Nel 1997 ha vinto il premio Nicoletta Quinto della Fondazione Premio internazionale Galileo Galilei di Pisa. Dal 2001 al 2006 è stato curatore e ricercatore nella National Gallery of Art di Washington. Dal 2006 al 2008 è stato curatore nel Dipartimento di sculture e arti decorative nel J. Paul Getty Museum di Los Angeles. Dal 2008 al 2009 ha lavorato a Londra da Sotheby’s come direttore e capo del dipartimento scultura e arti applicate europee. Esperto di arte fiorentina di fama internazionale, ha pubblicato svariate monografie e decine di saggi.
Tutte le altre sono, quale più quale meno, simili a questa: di personaggi che hanno girato il mondo sempre in posti di responsabilità e che dunque sono in grado meglio di altri - bravi quanto si voglia - di capire cosa significhi gestire un museo oggi. Del trio dirigenziale del Louvre, col grado di amministratore generale aggiunto, fa parte la 34enne bergamasca super-Claudia Ferrazzi. Italiano è il presidente del comitato scientifico dello stesso museo, il professor Salvatore Settis, anche lui passato dal Getty Research Institute di Los Angeles oltre che dalla Normale di Pisa. E poi l’architetto Mario Bellini e altri come Antonio Fabro, responsabile delle biglietterie che vendono quasi 9 milioni di ticket all'anno.
L’arte è un fatto mondiale, il meglio della sua produzione e dei suoi curatori viene conteso da tutto il mondo. Non c’è galleria o esposizione o rassegna o casa d’aste da Londra a Mumbai, da New York all’Australia che non veda l’alternanza - nella direzione o in qualche settore particolarmente innovativo - di personaggi notevoli dalle provenienze più disparate. Lo stesso accade nella moda e nella musica: alla testa dei grandi marchi come delle grandi orchestre si susseguono personaggi con un’unico requisito necessario: essere i primi nel loro settore.
È sempre successo così nei momenti di maggior splendore delle società e delle culture. Che accada anche in periodo di crisi significa che forse ne stiamo venendo fuori. I fiorentini si faranno una ragione del fatto che non sia nata in Arno la persona ritenuta più capace di promuovere il loro museo, che resta sempre il più bel museo del mondo anche se non riesce ad attirare più visitatori di altri.
Si consolino pensando a quale sarebbe stata la loro condizione se non fossero stati in grado di prendersi il miglior pezzo del mercato o se quest’ultimo avesse disprezzato la loro proposta. Schumacher ha fatto grande la Ferrari, Vettel speriamo che ne segua le orme. Se vogliamo tornare ad essere i più grandi nel circo dei musei del mondo non facciamoci prendere da ansie nazionaliste. Piuttosto chiediamoci se le nostre scuole e università siano in grado di sfornare in tempi brevi figure professionali come quelle di cui si parla oggi. Questa sì che sarebbe una bella notizia.