Bracconaggio

Una carcassa intrisa di veleno per uccidere il lupo a Gandellino: denunciati due allevatori

La scoperta della polizia provinciale in primavera in località Gromo San Marino-Ronchello, il comandante: «Un gesto poco sensato»

Una carcassa intrisa di veleno per uccidere il lupo a Gandellino: denunciati due allevatori
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Gli agenti della polizia provinciale avevano capito subito che c'erano degli elementi sospetti, quando hanno trovato quella carcassa di cervo morto. Ad attirare la loro attenzione non era tanto la presenza di un cadavere dell'ungulato, quanto che dall'interno fuoriuscisse un liquido bluastro e che, vicino, qualcuno avesse piazzato una foto-trappola.

Un carcassa intrisa di veleno

Lo scenario, scoperto la scorsa primavera a Gandellino, in località Gromo San Marino-Ronchello, in Alta Valle Seriana, ha infatti portato alla scoperta del primo caso in Bergamasca di bracconaggio di lupi. I branchi di carnivori che stanno ripopolando, al momento in numero molto contenuto, le montagne bergamasche hanno suscitato molto malcontento tra gli allevatori e hanno portato a una divisione tra chi vorrebbe "ridimensionare" la loro presenza sulle Orobie e chi ritiene ci sia la possibilità di una qualche sorta di convivenza.

Non la pensavano evidentemente così gli ideatori della particolare esca. Già, perché come si sospettava, una volta sottoposta a sequestro, l'analisi della carcassa all'Istituto zooprofilattico ha rivelato che era intrisa di una sostanza velenosa, il glicole etilenico. Si trova in genere nei liquidi antigelo, è di facile reperibilità ed è noto da tempo il suo utilizzo per realizzare dei bocconi avvelenati.

L'esame delle immagini registrate nella foto-trappola, anche in questo caso sequestrata, ha fornito altri elementi determinanti per individuare gli autori del gesto. In decine di fotogrammi erano immortalati due uomini, conosciuti dalla polizia provinciale. Uno dei quali, chinato sul corpo dell'animale, gli iniettava dentro il glicole con una siringa.

Sono due abitanti del luogo, un imprenditore zootecnico e un allevatore amatoriale di pecore e capre. Convocati in via Tasso a Bergamo, sentiti anche testimoni che hanno fornito ulteriori elementi alle ipotesi accusatorie, sono stati denunciati per tentata uccisione di animali e uso di esche e bocconi avvelenati.

Un gesto poco sensato

«Il tentativo di avvelenamento, per quanto maldestro, non può certo essere la soluzione ai conflitti derivanti dalla presenza del lupo - ha commentato il comandante Matteo Copia -. Siamo in una fase di ricolonizzazione per la quale l’eliminazione, benché illegale e perseguibile, di alcuni esemplari di lupo sarebbe completamente ininfluente, con il rischio invece di destrutturare il branco che attualmente occupa quei territori, esponendoli all’arrivo di nuovi esemplari e all’aumento delle predazioni».

Sulla base delle informazioni di via Tasso, al momento si ha un branco che gira tra la Val Brembana e la Val Serina, poi altri esemplari in dispersione sul resto del territorio provinciale. Ogni branco è costituito in media da cinque o sei lupi e occupa un'area di centinaia di chilometri quadrati, da cui tiene lontani altri individui o gruppi estranei. Per questo, si ritiene che la Bergamasca è destinata a ospitare un numero limitato di esemplari, senza un aumento esponenziale ed incontrollato della specie, perché via delle caratteristiche del territorio stesso e la sua autoregolazione.

La convivenza tra uomo e lupo

«Il ritorno del lupo sulle nostre Orobie è un fatto assolutamente naturale ed era ampiamente prevedibile, in virtù di un processo di ricolonizzazione che ha interessato l’intero territorio nazionale, determinato dalla maggiore disponibilità alimentare di ungulati come i cervi, ma anche dalla tutela legale che annovera lupo e orso tra le specie protette da decenni» ha spiegato Copia.

«Deve evolversi il rapporto tra uomo e grandi carnivori. Certo, a livello istituzionale va garantita la massima assistenza al comparto agricolo e zootecnico. È però indispensabile anche uno sforzo da parte del territorio e di chi lo abita, attraverso pratiche più attente, che non erano necessarie fino a pochi anni fa, ma che lo sono inevitabilmente oggi e lo saranno in futuro».

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