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Venezuela, 21 detenuti si uccidono per denunciare la situazione carceri

Venezuela, 21 detenuti si uccidono per denunciare la situazione carceri
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È di 21 morti e 145 intossicati il bilancio dell’ammutinamento che i detenuti della prigione David Viloria del carcere di Uribana, nello stato di Lara a sudovest del Venezuela, avevano iniziato nella giornata di lunedì, per protestare contro le condizioni inumane e la violazione di diritti umani perpetrate all’interno del penitenziario. La notizia è stata resa nota da una ONG di Caracas e in seguito confermata dal governo venezuelano (che parla però di 13 decessi); 17 di questi detenuti sarebbero morti nel carcere, mentre 4 reclusi sono deceduti a causa dell’intossicazione nella prigione di Torocon, nello stato di Aragua, dove erano stati trasferiti.

L’ammutinamento. Nella giornata di lunedì, la protesta, iniziata come sciopero della fame, era sfociata in un ammutinamento: i detenuti, dato l’abbandono della prigione da parte delle autorità carcerarie, si sono impossessati della farmacia e hanno ingerito dosi di farmaci, causando un cocktail poi rivelatosi letale (l’amministrazione penitenziaria ha parlato di morti dovute ad «ingestione incontrollata» di antibiotici, antiepilettici, anti-ipertensivi e alcol).

L’obiettivo dei carcerati era quello di richiamare l’attenzione dei media sulle condizioni di vita all’interno della prigione di Uribana, la quale, secondo il comunicato stilato dal governo sudamericano, «fa parte dei 70 centri di reclusione del Paese dove viene applicato il nuovo regime penitenziario nazionale, che supera il vecchio modello del passato, caratterizzato dalle deplorabili condizioni di anarchia e violazione dei diritti umani».

Le condizioni delle carceri venezuelane. Il problema delle carceri in Venezuela non è nuovo, già a inizio 2013, nella prigione di Uribana, una rivolta dei prigionieri era stata repressa con la forza. Il 25 gennaio 2013, uno scontro a fuoco tra i detenuti e la Guardia Nazionale Bolivariana causò la morte di oltre 60 prigionieri e il ferimento di altri 120. I carcerati si impossessarono di alcune armi della polizia che, assieme a quelle che erano riusciti a fare entrare abusivamente all’interno del carcere, gli permisero di dare inizio a una battaglia che durò per delle ore.

Anche papa Benedetto XVI, il 31 gennaio 2013, richiamò le autorità venezuelane, accusate da Humberto Prado, direttore dell’Osservatorio venezuelano delle prigioni (OVP), di non aver fatto il necessario per risolvere la questione, a «continuare a lavorare in uno spirito di collaborazione e buona volontà per superare i problemi ed evitare la ripetizione in futuro di tali eventi drammatici».

Già all’epoca il carcere dello Stato di Lara viveva un evidente problema di sovraffollamento: pur avendo una capienza massima di 850 persone, ne accoglieva circa 2500, il 191 percento in più del consentito, un numero che rispecchiava il dato di un Paese che nel 2013 vedeva 55 mila detenuti su 15 mila posti disponibili. La Chiesa venezuelana parlava di una «politica penitenziaria inefficace del governo, dinanzi al sovraffollamento, alla mancanza di cibo adeguato, alla violenza incontrollata, ai ritardi procedurali e all'umiliazione subita dalle famiglie».

Gli allarmanti numeri. A inizio 2014, il rapporto annuale dell’OVP sottolineava come i detenuti morti in carcere nel 2013 erano 506 e che, nonostante il dato rimanesse critico, erano circa il 14% in meno dell’anno precedente. A fronte di questo aspetto positivo, restava allarmante invece la percentuale del sovraffollamento, aumentata del 20%.

Già però ad agosto il secondo rapporto dell’OVP mostrava come il 90% dei detenuti fossero deceduti per scontri di armi da fuoco (150 morti e 110 feriti), l’80% dei quali causati da prigionieri armati (guerre tra bande o regolamenti di conti interni), e che il numero dei carcerati era aumentato del 3,22%, superando le 55 mila unità.

Pardo ha puntato il dito per questa situazione contro il Governo venezuelano, accusato non solo di non fornire un’assistenza medica adeguata, testimoniata dai 7 morti di hiv-AIDS in 6 mesi, ma anche di indottrinamento ideologico («i detenuti vengono obbligati arbitrariamente a marciare e cantare le lodi di Hugo Chávez»).

I miglioramenti tanto conclamati dal governo non si sono visti e il dato più allarmante è che il Venezuela ricopre ormai la posizione più critica di tutta l’America Latina dal punto di vista carcerario. A testimonianza di ciò si veda come nel 2008 nel Paese sono deceduti cinque volte più prigionieri che nelle carceri di Messico, Colombia, Brasile e Argentina. Quell’anno, in Venezuela, con una popolazione carceraria di 23.457 persone ci furono 422 morti. In Messico, su 250.000 prigionieri, 24. In Brasile, il rapporto fu di 450.000-19. Colombia: 72.000-7. Argentina, 62.000-10.

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