Quel Sei un poeta (più bestemmia) urlato a Capossela dal loggione

Un maestro nel creare atmosfera, Vinicio Capossela. Un maestro nel crearla con la musica, con le parole e con poche pennellate istrioniche, dal vivo, da animale da palcoscenico sui generis qual è, un po’ sbilenco ma sorprendente. Un equilibrista su un filo teso da Tom Waits a Paolo Conte e più in là, generatore di mondi favolosi come «Il paradiso dei calzini» e di suggestioni da cinematografo, di valzer asburgici ed esperimenti onomatopeici.
Qualche anno fa, al termine di uno splendido concerto al Donizetti, chiese agli spettatori sui palchi di aprire le porte alle spalle delle loro sedie, quelle che danno sul corridoio illuminato, sfumato di rosso per la gran messe di velluti posizionati un po’ ovunque (oltre che sulle poltroncine, che oggi molti bergamaschi si sono portati a casa). «Così ci possiamo sentire in un grande cortile, con le finestre dei balconi illuminati, con le persone affacciate a guardare e parlare». Un’idea semplice ma dal calore immenso. Un abbraccio fin dentro il cuore, cullato dalle dita di Capossella sul pianoforte, dalla voce bassa che arriva dai margini, dai sussurri che fan venire i brividi nella schiena. Poi dal loggione urlano: «Vinnie sei un poeta!», con bestemmia a chiosare. E lui: «Finalmente qualcuno che si prende le mie responsabilità».
Mercoledì 13 a Bergamo. Domani sera Capossela è in tour al Creberg Teatro con Ombre nell’Inverno, un nuovo suggestivo spettacolo ambientato tra ombre, nebbie e riflessi, ma con una struttura libera nel repertorio e nella narrazione. Non sarà il concerto di un disco solo, ma abbraccerà l’intera opera di Vinicio Capossela seguendo il filo conduttore dello spettro che si ripresenta nell’inverno: dai brani umbratili e misteriosi dell’album Canzoni della Cupa, alle ballate e alle rese dei conti sparse in tutta la sua produzione.