Vita da ragazza immagine in disco Ben lontano dalla parità dei sessi

Un mondo a parte, con dinamiche a parte: quello delle discoteche è un ambiente che, al di là di questioni di gusto, concede, disinibisce ed eccita i sensi. Ed è indissolubilmente legato a una dimensione di spettacolarizzazione in fin dei conti riconducibile, senza troppe forzature, all’innegabile potenziale economico-attrattivo della dimensione erotica e sessualizzante. Non è questione di giusto o sbagliato, è semplicemente così. La discoteca è un’isola di intimo eccesso, che sia effettivo ed eclatante, che sia una ben più comune disposizione d’animo extra-ordinaria. Fin qui nulla di strano, fin qui la descrizione di un ambiente attraente, vincente e dal fascino inesauribile, checché ne dicano i detrattori. Ma c’è una questione non trascurabile, a livello economico perfettamente funzionale, a livello etico invece discutibile: è accettabile che nell’epoca in cui si prospetta la morsa finale verso una sacrosanta ed effettiva parità dei sessi in tutti i campi, esistano ancora locali che, di fatto, paghino belle ragazze per fare presenza e attirare clientela? Abbiamo parlato con Anna ed Elisa Fumagalli, due ragazze ventenni, gemelle, con diverse esperienze alle spalle come “ragazze immagine”.
Anna ed Elisa Fumagalli, gemelle di 20 anni ed ex-ragazze immagine.
La vostra esperienza?
«Abbiamo lavorato per un anno in un locale insieme ad altre trenta/quaranta ragazze. Prendevamo trenta euro a serata. All’inizio ci avevano detto che avremmo soltanto dovuto fare presenza, magari portare degli amici. Non ci siamo fatte chissà quali domande, di fatto era un’occasione d’oro: ci pagavano per fare cose che avremmo fatto comunque e che soprattutto ci piacevano. Poi con il tempo hanno iniziato a chiederci di andare ai tavoli a far compagnia ai clienti. Spesso uomini anche di più di trent’anni che volevano mettere in bella mostra i loro soldi e avere le belle ragazze al tavolo. Palpatine, proposte volgari ed esplicite erano all’ordine del giorno. Una volta un cliente si è lamentato con il nostro capo perché “eravamo state scortesi”, vale a dire non l’avevamo salutato dopo che la settimana prima aveva in continuazione superato ogni limite. Ora invece lavoriamo sempre in una discoteca, ma svolgiamo mansioni più dignitose: portiamo da bere ai tavoli, ad esempio. Ma qui nessuno ci chiede di “far compagnia” ai clienti».
Avevate dei colleghi maschi?
«No, prima no: eravamo solo ragazze immagine. Qualche ragazzo magari accompagnava ai tavoli, faceva il PR o cose simili. Ma colleghi maschi pagati per far presenza o stare ai tavoli non ce n’erano. Dove lavoriamo ora invece siamo bene o male bilanciati e abbiamo colleghi maschi e colleghe femmine».
Come vi sentivate quando dovevate “fare compagnia”?
«Era davvero umiliante, e quel che è peggio, soprattutto dopo l’episodio del cliente che si è lamentato della nostra scortesia, non potevamo ribellarci più di tanto. Alla fine nessuno ci obbligava a continuare a lavorare lì, quindi in quei momenti ci sentivamo comunque di dover rispettare degli accordi presi in precedenza con i nostri datori di lavoro. Però era umiliante, eravamo poco più che clienti pagate per fare le sciolte, per indurre i clienti maschi a volerci “comprare” mettendo in mostra le loro possibilità economiche, facendo a gara tra di loro a chi comprasse la bottiglia più costosa. Spesso non ci fornivano nemmeno una maglietta del locale o un qualcosa che potesse far capire che eravamo lì a lavorare. Era un ambiente confuso, strano».
Con le altre ragazze come vi trovavate?
«Bene, eravamo solidali e comunque abbiamo fatto tante amicizie. Spesso ci trovavamo a dover fare i conti con gli stessi commenti, non solo dei clienti ma anche dei nostri coetanei».
Del tipo?
«Del tipo che ci sentivamo dire che noi che lavoravamo per quel locale eravamo delle “cagne”. Oppure che eravamo spocchiose e che ci sentivamo Dio».
E poi?
«E poi ce ne siamo andate, troppi problemi e troppa discordia. Non dico che in quel locale fossero incapaci o cattivi, semplicemente hanno legittimamente scelto una strategia commerciale che implica presenze di un certo tipo, e noi a un certo punto non ci siamo più trovate d’accordo e non abbiamo più acconsentito. Elisa è stata anche rimossa da alcuni incarichi perché a volte veniva in discoteca con il suo ragazzo. Non era posto per noi».
Cosa pensate della vostra esperienza alla luce della lotta per la parità dei sessi?
«Pensiamo che sia evidente il fatto che la donna sia in grado di indurre l’uomo a fare certe cose, come ad esempio spendere un sacco di soldi per fare bella figura. A livello economico ha perfettamente senso. Ma a un certo punto esistono anche altri valori, e come donne, orgogliose e dignitose, sappiamo quali sono i limiti: un locale, nel 2017, dovrebbe emanciparsi da questo concetto di donna come fonte di attrazione. Far entrare gratis le donne in modo da attirare clientela maschile e riassorbire le spese è una strategia offensiva per tutti, e bisognerebbe rivedere un po’ le dinamiche di alcuni locali che, comunque, dovrebbero essere consapevoli di essere una delle prime fonti di attrazione per i ragazzi giovani. Non bisogna abituarsi a certe cose, non bisogna fare queste concessioni né dare questi cattivi esempi di società gerarchica in cui un sesso è in funzione dell’altro».
Insomma, dietro a quello che è innanzitutto il modo di divertirsi per eccellenza del Secolo Ventuno, si celano dinamiche che proprio questo secolo ha l’obiettivo di eliminare del tutto. Chi ci ha già pensato non sia passivo; chi non ci ha mai pensato, cominci a farlo.