Voto il partito ma non mi iscrivo Ecco perché non ci si tessera più
«Meglio i voti delle tessere». Così Matteo Renzi, che è pur sempre segretario del PD, ha commentato il drastico calo di iscritti registrato dal suo partito nell’ultimo anno. Da oltre mezzo milione di tesserati nel 2013, se ne contano ora 100mila scarsi: un dato che di per sé non suscita particolari preoccupazioni, ma che sicuramente è sintomatico di un certo allontanamento dei cittadini dalle strutture rappresentative; o meglio, dalla struttura tradizionale dei partiti italiani.
Il crollo di iscritti del PD. Il calo degli iscritti del PD è effettivamente qualcosa di sorprendente, specie in relazione all’incredibile 40,8 percento ottenuto da Renzi alle ultime elezioni europee. Per spiegarlo, occorre anzitutto sottolineare come, fin dai tempi del PCI e del PDS, la linea adottata sia sempre stata quella di una riproposizione annuale del tesseramento, quasi a voler avere costantemente sotto controllo i dati del sostegno da parte dell’elettorato.
Ebbene, i numeri del 2014 rappresentano il minimo storico, persino nelle più tradizionali roccaforti: a Torino e provincia lo scorso anno gli iscritti erano circa 10 mila, quest’anno solo 3mila; a Venezia, i 5.500 del 2013 sono scesi a poco meno di 2mila; in Umbria, gli attuali 6mila non sono paragonabili ai 14mila dell’anno scorso; e in varie regioni (Sicilia, Basilicata, Sardegna, Molise, Puglia) il tesseramento non è nemmeno ancora partito, come se gli 11 milioni e 200 mila elettori che hanno scelto il PD alla elezioni europee avessero lasciato i dirigenti democratici a crogiolarsi in una vittoria senza precedenti e a non preoccuparsi di mantenere (o ricreare?) un rapporto diretto con i cittadini.
E la situazione in Forza Italia non è migliore. Estendendo l’analisi anche al partito principale dell’altro versante politico, bisogna evidenziare anzitutto come, per quanto riguarda Forza Italia, il principio del tesseramento si fondi su presupposti ed obiettivi differenti. Il partito di Silvio Berlusconi non ha ancora avviato la campagna di iscrizioni; questo perché, a differenza del PD, non c’è mai stata una campagna annuale, ma si è scelto di legare i tesseramenti a specifici periodi e in determinate occasioni: per esempio, durante i mesi di campagne elettorali, dove i canonici tour su scala nazionale per presentare programma e candidati vengono anche sfruttati come momenti utili a formalizzare le adesioni degli elettori.
È una scelta dettata anzitutto da questioni oggettive (con la dissoluzione del PdL, Forza Italia non è ancora munita delle necessarie strutture per svolgere una vera campagna di tesseramento dotata di una sua costanza), ma anche da valutazioni di tipo politico: è meglio coinvolgere il cittadino nella vita del partito a partire dalla presentazione di determinati obiettivi piuttosto che dalla tradizione. Il risultato è stato, per il momento, comunque, decisamente negativo: sono solo 8.300 gli iscritti azzurri del 2014; certo, era impensabile replicare il milione di tesserati dell’allora PdL (sia per l’assenza dei flussi derivanti da AN e Lega Nord, sia per la mancanza dell’impatto entusiastico che il Popolo della Libertà ebbe all’epoca), ma si tratta comunque di un calo vertiginoso.
Le ragioni di questa crisi. I motivi che hanno portato a questi tracolli bipartisan sono da ricercarsi innanzitutto nella grande influenza che l’antipolitica ha sui cittadini da qualche anno a questa parte: i sempre più agitati focolai extraparlamentari (tra gli altri, l’ascesa del fenomeno pentastellato) sono tutti elementi che non hanno certo allontanato la gente dalle urne (per quanto in costante calo, l’affluenza elettorale italiana è fra le più alte d’Europa). Però dai partiti sì.
In secondo luogo, il “leaderismo” che ha preso sempre più piede in Italia (da Di Pietro, Fini e Berlusconi fino a Grillo e a Renzi) ha portato i cittadini a considerarsi sostenitori più di una singola persona che di uno specifico partito: i sondaggi che mostrano un netta superiorità del gradimento riferito a Renzi rispetto che al PD fra gli elettori democratici è particolarmente emblematico di questo.
In terzo luogo, le continue aggregazioni o disfacimenti di coalizioni, gruppi o maxi partiti ha generato una certa confusione e senso di inaffidabilità da parte dell’elettorato nei confronti delle strutture partitiche tradizionali; infine, il taglio netto dei fondi pubblici ai partiti (il PD nel 2011 incassava 60 milioni dallo Stato, nel 2014 invece 13) ha creato notevoli difficoltà, per mancanza di risorse, nel radicamento capillare su tutto il territorio di sezioni o circoli politici.