Yemen nel caos, Sana'a isolata

È battaglia aperta tra le strade di Sana’a, la capitale yemenita, tra i ribelli Houti, detti anche i “partigiani di Allah” che combattono alQaeda, e le truppe governative. Ormai il paese è caduto nel baratro. Si parla di una ricaduta nella guerra civile.
Dopo gli scontri iniziati lunedì, in seguito al rapimento di Ahmed Awad bin Mubarak, capo di gabinetto del Presidente, e sfociati nella presa d’assalto del palazzo presidenziale, il paese è al collasso. Le tre province del sud dello Yemen, Aden, Abyen e Lahaj, hanno chiuso i loro confini con quelle del nord, per impedire l'arrivo delle milizie sciite Houti. È stato chiuso anche l’aeroporto internazionale e i ribelli dopo aver conquistato la principale base missilistica del Paese, situata su una collina che sovrasta Sana’a hanno accerchiato e assediato il palazzo presidenziale.
Premier in fuga e presidente agli “arresti domiciliari”. Il premier yemenita Khaled Bahhah si è messo in salvo in un “luogo sicuro”, cioè è fuggito, dopo che gli houti hanno da ieri circondato la sede del governo a Sana’a. Lo riferisce la tv al Arabiya. Gli stessi insorti hanno circondato il palazzo presidenziale e pare stiano tenendo prigioniero a casa sua il presidente Hadi. Gli Houti negano sia agli arresti, ma il loro leader parla già come se fosse un capo di stato: «Garantirò gli interessi del popolo», dice. Lo stesso Hadi aveva accusato la minoranza sciita Houti di essere sostenuta dagli Hezbollah libanesi e soprattutto dall’Iran, otre che dal presidente siriano Bashar al-Assad, accusato di appoggiare la rivolta. Nella notte due navi da guerra americane, la USS IwoJima e la USS Ft.McHenry sono state spostate nel Mar Rosso e sono pronte a far evacuare il personale dell'ambasciata americana dallo Yemen nel caso in cui dovesse arrivare l'ordine dal Pentagono.
La Mogadiscio della penisola araba. Sana’a ormai è diventata una sorta di Mogadiscio sull’altro versante del Golfo di Aden. La capitale della Somalia dal 1991 è stata dilaniata da violenti scontri tra le forze militari di un governo invisibile, le cui leggi vengono rispettate solo dai pochi che ne ricevono anche vantaggi economici di discutibile legittimità, ed estremisti legati essenzialmente al terrorismo islamico. Oggi in Yemen la storia di ripete. Nel 2012, sull’onda lunga delle cosiddette "primavere arabe", mesi di violente proteste popolari hanno permesso al Paese di liberarsi dopo trent’anni di Ali Abdullah Saleh. Anche se il cambiamento non è avvenuto grazie alla spinta della piazza, bensì perché i Paesi del Golfo Persico e gli Stati Uniti hanno mediato un accordo che ha consentito a Saleh di uscire di scena nell’impunità e al suo vice Abd Rabbo Mansour Hadi di diventare nuovo presidente. Dopo quasi 3 anni lo Yemen è rimasto un Paese dilaniato da gravi problemi e le violenze quotidiane evidenziano che la crisi è tutt’altro che risolta.
Economia in rovina. Finanziariamente in rovina, l'economia dello Yemen versa in cattive acque. Nonostante le richieste e negoziazioni con i principali alleati nella regione (i Paesi del golfo), la nazione, impoverita, non è riuscita a reperire fondi sufficienti a soddisfare gli impegni basilari, come il pagamento degli stipendi dei dipendenti pubblici. Negli ultimi tre mesi, il personale diplomatico non ha ricevuto alcun pagamento.Lo Yemen è il Paese più povero dell’intero mondo arabo. Il 40% della popolazione vive con meno di due dollari al giorno, e l’accattonaggio è una professione: i bambini e le donne costituiscono il 70% del totale dei mendicanti, che si concentrano prevalentemente nella capitale Sana’a. Lo Stato vanta la più alta diffusione di armi in mano ai civili: due yemeniti su tre hanno un’arma in casa. La penetrazione di al Qaeda e della militanza islamica sunnita è sicuramente maggiore che ogni altro angolo del mondo islamico, soprattutto nel sud del paese. È in Yemen che ha base il ramo di AlQaeda nella penisola arabica, che ha rivendicato gli attentati di Parigi del 7 gennaio. Gli sciiti zaiditi, di cui fanno parte i ribelli Houti, rivendicano un’autonomia a loro negata in un Paese a prevalenza sunnita. Gli Houti sono 5 milioni di persone in un Paese di 24 milioni di abitanti e sono suddivisi in numerosissime piccole tribù. Con la riforma costituzionale e la decentralizzazione conseguente del paese, gli Houti perderebbero il nord del paese e con esso la possibilità di un accesso sul Mar Rosso. E lo Yemen è il paese che più di ogni altro domina l’ingresso meridionale sul Mar Rosso. In più, è inserito al centro dell’annosa questione mai risolta tra sciiti e sunniti, rappresentati rispettivamente da Iran e Arabia Saudita.