Zona rossa in Val Seriana, il caso della mail di Fontana: «Sapeva, non faccia la vittima»
Lo scoop di "Domani". Il documento mostrerebbe come il presidente, pur sapendo la gravità della situazione, chiedesse poche restrizioni. Opposizioni all'attacco
Sul perché non sia scattata la zona rossa in Val Seriana a cavallo tra il febbraio e il marzo 2020 sono state fatte tante riflessioni e gran parte dei bergamaschi, colpiti ognuno a proprio modo da un'ondata che ha portato alla morte di sei mila persone in due mesi, continuano a chiedersi cosa sarebbe successo se si fosse deciso diversamente. Con buona probabilità, si sarebbero risparmiate molte vite. Le indagini della Procura di Bergamo continuano e tra i dati acquisiti è comparso anche uno scambio mail, finora inedito ma scovato e pubblicato dal giornale Domani.
Il quotidiano spiega come, nella mail datata 28 febbraio 2020 e indirizzata a Protezione civile e Presidenza del Consiglio, Attilio Fontana chieda di reiterare le misure già attive da giorni - cioè quelle più blande e meno restrittive -, pur allegando un documento che metteva in evidenza l'elevata incidenza dei contagi. Questo allegato dimostrerebbe che il presidente di Regione Lombardia fosse a conoscenza della drammaticità della situazione.
M5S: «Fontana sapeva». Pd: «Non faccia la vittima»
Pierfrancesco Majorino, europarlamentare in forza Pd dal 2019 e da poco candidato presidente di Regione Lombardia, incalza Fontana: «Non faccia la vittima ora. Dica esattamente cosa è successo nelle giornate della mancata zona rossa e perché. Gli rinnovo l'invito a un confronto pubblico dove quando e come vuole».
Nicola di Marco, consigliere regionale per il Movimento 5 Stelle, rincara: «Fontana sapeva, ma, nonostante ciò, non ha voluto mettere in sicurezza la Lombardia. Così da una parte, mentre il 26 febbraio indossava goffamente una mascherina su Facebook, dall’altra solo due giorni dopo scriveva alla Protezione civile, alla Segreteria della Presidenza del Consiglio, del Ministero dello Sviluppo economico e dell'Interno di mantenere blande restrizioni e di conseguenza non adottare le misure che avrebbero salvato la vita a migliaia di lombardi. Le informazioni di cui disponiamo oggi confermano quanto abbiamo sempre sostenuto: l’approccio politico esclusivamente propagandistico e non di sostanza con cui il centrodestra ha affrontato la crisi».
Anelli (Lega) difende Fontana
A rispondere e prendere le difese di Fontana con tempestività è Roberto Anelli, bergamasco (proprio di Alzano) e capogruppo della Lega al Pirellone: «In quei giorni in Val Seriana non era presente nessuna pressione ospedaliera e il presidente Fontana non poteva certo negare l’evidenza. Purtroppo è iniziata la campagna elettorale e la sinistra preferisce puntare sulla manipolazione delle informazioni, invece che sui programmi».
Anelli lancia poi ai "rivali" altre critiche, che coinvolgono anche il primo cittadino di Bergamo: «Va poi sottolineato che in quei giorni di inizio pandemia, mentre i più alti esponenti Pd, dal segretario Zingaretti ai sindaci Sala e Gori, facevano gli aperitivi, il governatore Fontana invitava saggiamente a indossare la mascherina. Un atteggiamento improntato alla prudenza e che fu deriso dallo stesso tipo di sciacallaggio politico che oggi lo attacca per una mail saltata fuori improvvisamente dopo due anni e mezzo, con un tempismo più che sospetto a due mesi dal voto».
La contro risposta
Arriva questa volta da Vinicio Peluffo, segretario regionale del Pd e deputato eletto nel collegio di Bergamo alle scorse politiche, la contro risposta: «Evidentemente la fallimentare gestione della pandemia da parte di Regione Lombardia è ancora oggi un nervo scoperto per Fontana, se grida alla campagna diffamatoria alla prima richiesta di chiarimenti da parte di Majorino. Che non sia andato tutto bene è sempre stato chiaro, non solo a tutti i cittadini ma anche a chi, legittimamente e nelle sedi istituzionali opportune, chiedeva numeri, dati e delibere della Giunta. Nessuno di noi dimentica l'ostracismo e i tentativi di sabotaggio, soprattutto da parte della Lega, alla nascita della Commissione d'Inchiesta Covid. La mancanza di dati, di report e l'impossibilità di alcune audizioni hanno poi, progressivamente, svuotato la Commissione, fino a certificarne l'irrilevanza. Certo non per colpa del Pd e delle opposizioni che hanno presentato innumerevoli richieste di accesso agli atti. Che la verità sulla prima fase del Covid non sia ancora stata scritta è più che una suggestione».