Al Museo della Basilica di Gandino la sorpresa di un dipinto inedito del pittore Carlo Ceresa
Un'opera mai studiata del seicentesco pittore brembano esposta per la prima volta al pubblico. Nel volto di San Felice la probabile effige del committente
di Giambattista Gherardi
foto di Marco Presti
Una mostra terminata in anticipo, ma comunque un evento destinato a rimanere negli annali della storia dell'arte. Il lockdown ha imposto la chiusura a Gandino, nelle sale del Museo della Basilica, della mostra “La Regina del Rosario”, con opere legate ad “intima devozione e arte sacra”. L’iniziativa, curata dal Gruppo Amici del Museo, si proponeva di rivalutare la devozione locale legata al culto della Madonna del Rosario. Per l’occasione è stato anche esposto in Basilica (per la prima volta dopo non meno di sessant’anni) il trono ligneo processionale dedicato alla Vergine, con un prezioso simulacro mariano rivestito di un prezioso abito che la tradizione vuole provenire dal corredo di una fanciulla dei nobili Giovanelli. Il tessuto principale è un gros broccato in seta, oro filato e lamellare con motivo decorativo trasversale a racemi. In mostra c’era anche una pergamena datata 9 Febbraio 1610: una bolla con gli stemmi araldici di papa Paolo V Borghese e del Comune di Gandino, che concede l’erezione nella chiesa di Santa Maria Assunta (di lì a poco sostituita dall’attuale Basilica) dell’altare dedicato alla Madonna del Rosario.
Il pezzo forte dell’esposizione gandinese era però un’opera, mai esposta al pubblico, del grande pittore seicentesco Carlo Ceresa (1609-1679). Nativo di San Giovanni Bianco, in Valle Brembana, fu attivo prevalentemente a Bergamo e, con il Baschenis, è ritenuto il pittore più importante del ‘600 in Bergamasca, maestro nel lavorare a maestose pale d’altare (si pensi a quelle alla Pianca di San Giovanni Bianco, a Ponteranica e ad Ardesio) ed a mirabili ritratti (“Bambino” del 1633 e “Gentiluomo dalle calze rosa” del 1660) che si riallacciano all’arte del Moroni.
“L’opera esposta a Gandino, mai studiata finora, - spiega Francesco Rizzoni, rettore del Museo della Basilica - ha dimensioni modeste e proviene da una cappella gentilizia privata in Bergamasca. E’ databile al terzo quarto del Seicento e raffigura nella parte alta Maria che regge il Bambino e sant’Anna, nella tipologia iconografica detta di “Sant’Anna Metterza”, ovvero “messa a fare da terza”, per esaltare il rango della Santa come terza in ordine di importanza, in quanto mamma di Maria e nonna del Cristo. Nella parte bassa sono presenti, a sinistra, San Domenico di Guzman e, a destra, San Francesco d’Assisi, i due principali promotori della diffusione del Rosario. La figura interessante nel dipinto è però quella maschile posta a sinistra, quasi in secondo piano. Se per i tre santi principali il Ceresa utilizza dei canoni ripetitivi nei visi, nei panneggi delle vesti e nella composizione scenica, per il personaggio in penombra vi è una maggior cura descrittiva. Si tratta probabilmente di san Felice da Cantalice, un frate laico questuante che abbracciò lo spirito dei Frati Minori dell’Osservanza. Visse, nel Cinquecento, nella Roma di Michelangelo. Era dedito alla raccolta di offerte e donava tutto ai più poveri. E’ nel volto di San Felice che il Ceresa realizza un ritratto, probabilmente quello del committente che portava il medesimo suo nome. Il rosario in questo caso non è messo in bella mostra ne tra le mani delicate del bimbo o tra quelle sante di Maria, ma tra le mani operose di un povero tra i poveri, non in primo piano ma defilato. La recita del Rosario è spesso questione intima, così come doveva essere la devozione nella cappella privata del committente”. Lo studio dell’opera andrà ulteriormente approfondito: Gandino, anche in questo caso, si conferma scrigno di tesori inestimabili.