Al cinema

Gabriele Salvatores, un grande regista (da Oscar) che si reinventa con intelligenza

In “Tutto il mio folle amore” bellissima interpretazione di Giulio Pranno, che fornisce un ritratto di Vincent (affetto da disturbo della personalità) convincente e mimetico

Gabriele Salvatores, un grande regista (da Oscar) che si reinventa con intelligenza
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Giuseppe Previtali

Elena e Mario sono una coppia triestina che, con grande dedizione, si prende cura di Vincent (figlio della donna), affetto da un grave disturbo della personalità. La loro non è una vita facile, ma hanno imparato con il tempo a convivere con la malattia di Vincent e l’amore che li lega permette loro di andare avanti, pur con molte difficoltà. Il ritorno di Willi, padre di Vincent che ha lasciato Maria appena saputo che fosse incinta, incrina per sempre il mondo che si erano costruiti e permette a Vincent di fuggire dalla solita routine: scappa infatti di casa, seguendo Willi (che fa il cantante di matrimoni) nel suo tour.

Gabriele Salvatores, un tempo regista di assoluto primo piano nel nostro cinema, torna con “Tutto il mio folle amore” (citazione da una canzone di Modugno e da un episodio cinematografico diretto da Pasolini) a indagare le sue ossessioni e in particolare quella del romanzo di formazione. Il film (tratto da un testo di Fulvio Evras) vive del delicato rapporto fra i pochi protagonisti e costruisce attorno a Vincent un affresco di grande ispirazione e partecipazione emotiva.

Lui è senza dubbio un diverso, ma anche gli adulti si mostrano affetti da idiosincrasie e ossessioni che li rendono ciascuno schiavi di qualcosa, da Willi (che è fuggito alla notizia di star per avere un figlio) a Mario, che vive schiacciato da una normalità monotona. A dare consistenza al film è poi soprattutto la bellissima interpretazione di Giulio Pranno, che fornisce un ritratto di Vincent convincente ed esasperatamente mimetico.

Salvatores costruisce una narrazione forte, che accompagna lo spettatore per mano nell’esplorazione di questo brano di inconsueta normalità; la struttura edificante del film è quella tipica di un regista che da sempre ama esplorare i rapporti fra i personaggi ed indagare, con la propria macchina da presa, il meraviglioso e l’inatteso che si celano dietro agli aspetti più ordinari, finanche didascalici, del quotidiano. “Tutto il mio folle amore” è insomma un bellissimo esempio di come un regista non giovane e già affermato possa (anzi, debba) sapersi reinventare con grande intelligenza.

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