La doppia disperazione di McDonagh attraverso l’Irlanda. Tra follia e amicizia
Con “Gli spiriti dell'isola” il regista non concede sconti e non sembra intenzionato a consolare. Ma alla fine...
di Fabio Busi
“Gli spiriti dell'isola” vive una doppia disperazione. Due angustie opposte e complementari. C'è quella di Pádraic, che si accontenta di poco, ma si accorge ben presto che anche quello gli sta per essere tolto. Gli basta una birra insieme al suo amico, ma che succede se quest'ultimo si stanca di lui? Colm, il presunto amico, è un uomo colto, musicista e compositore, che invece agogna una solitudine foriera d'ispirazione artistica. È quindi disposto a tutto pur di levarsi l'altro di torno, anche tagliarsi le dita della mano.
Il film di Martin McDonagh (“In Bruges”, “Tre manifesti a Ebbing”) è una duplice rincorsa. L'uomo semplice, che pascola le vacche e ammazza il tempo al pub, si trova senza più nessuno a cui raccontare la sua stolida esistenza. Ma non accetta il venir meno di quell'amicizia, la insegue ostinato. L'uomo dotto, che sente il tempo farsi breve, rincorre invece l'arte, l'immortalità, vuole pace e silenzio.
Un darsi il tormento a vicenda che racchiude un po’ la condizione degli uomini e dei sentimenti. Ognuno cerca qualcosa di diverso da quello che le persone sono disposte a dargli. Una terra malevola, popolata di banshee, spiriti urlanti.
Ma lo scenario non è del tutto fosco. C'è qualcosa di comico nei bisticci tra i protagonisti, nella ripetitività dei diverbi, nell’ottusa banalità della gente dell'isola irlandese di Inisherin, dove si svolge la vicenda. Siamo nel 1923, la guerra civile sullo sfondo. Un piccolo regno di follia, dove l'immaginario gotico-crepuscolare si innesta su scenari naturali incantevoli, percorsi da figure goffe, grottesche. La loro loquela è claudicante, masticata, ma è ridicola pure la logica, la sintassi dei loro pensieri. Ogni personaggio ha i suoi tic.
McDonagh non concede sconti e non sembra intenzionato a consolare. Attraverso morte, fiamme, amputazioni, addii, si arriva però a un esito inatteso: in qualche modo, il sempliciotto insegna all'artista un valore più grande, dimenticato. Nella malinconia e nella rabbia, nei sentimenti autentici, c'è tutto il senso dell'umano. È lui che riaccende la vita in quella terra di fantasmi.