La notte in cui i nazi-fascisti arrestarono don Bepo Vavassori (rimase in cella 43 giorni)
Tradito da un suo ragazzo, fu picchiato e incarcerato. Rischiò il lager, ma il comandante delle SS temette una rivolta popolare
di Paolo Aresi
La fase diocesana del processo di beatificazione di don Bepo Vavassori è stata aperta ufficialmente lunedì sera, 5 febbraio, in Seminario, dal vescovo Francesco Beschi. È stato scelto un giorno particolare: l’anniversario della morte, avvenuta il 5 febbraio 1975.
Dopo quella di Papa Giovanni XXIII, è la causa religiosa che Bergamo ha più voluto: per il semplice motivo che la santità di don Bepo era riconosciuta fin da quando il sacerdote era in vita.
Dopo la sua morte, molti ex allievi del Patronato, tra gli altri Mario Cavallini e Tino Sana, si erano mossi perché il processo partisse immediatamente. Ma sono dovuti passare quarantanove anni perché la Chiesa si mettesse in moto.
Dopo diversi tentativi promossi negli anni scorsi, ora i tempi sono maturati grazie anche al successore di don Bepo alla guida del Patronato, don Davide Rota, e grazie alle ricerche condotte da don Arturo Bellini, prete molto conosciuto in Diocesi e che ha deciso di trascorrere la “pensione” come collaboratore del Patronato San Vincenzo.
Don Arturo, quando ha cominciato le sue ricerche?
«È stato un caso fortuito. Io non ho conosciuto personalmente don Bepo; ricordo bene che nel 1980, quando era morto da cinque anni, mi era stato chiesto di firmare la petizione al vescovo Oggioni per avviare la causa di beatificazione. Ricordo che mi portò la petizione Mario Cavallini, un orfano del Patronato, morto nei giorni scorsi e che io firmai. Nel 2019 la vita mi ha portato nell’orbita del Patronato, don Davide Rota mi ha chiesto se volessi dare un’occhiata nelle carte di don Bepo conservate dall’archivio. C’era tanto materiale, ho cominciato a leggere e poi a parlare con le persone che lo avevano conosciuto. Mi sono man mano immerso in un mondo lontano dal nostro, ma estremamente coinvolgente; ho letto libri, articoli, ho letto i diari di don Bepo».
Che cosa ne pensa, don Bepo era santo?
«Mi viene in mente la frase detta da Papa Francesco: i santi sono come le vetrate delle chiese che lasciano filtrare la luce gentile di Dio. Don Bepo con la sua accoglienza verso migliaia di orfani credo abbia proprio fatto filtrare quella luce. Non solo con l’accoglienza, ma anche con il suo atteggiamento, il suo stile, quella sua autorevolezza, mitezza, rigorosità a un tempo. Don Bepo faceva moltissimo, ma riteneva di essere soltanto uno strumento di Dio, della Provvidenza. Lui viveva di Dio e parlava a Dio, era uomo di preghiera. La meticolosità dei suoi esami di coscienza che compiva ogni giorno colpiscono. Chiedeva a se stesso una grande coerenza. Sì, credo che in lui ci sia santità».
Un episodio che l’ha colpita?
«Tanti, ma sicuramente quello del suo arresto da parte dei nazifascisti. Erano le tre della mattina del 23 novembre 1943, fecero irruzione nel Patronato quelli delle SS (...)