“L'ultima notte di Amore”, uno spaghetti-noir ben riuscito
Di Stefano riesce a costruire una storia di tradimenti e doppi giochi (in ambito poliziesco) che funziona
di Fabio Busi
Un film come “L'ultima notte di Amore” ci ricorda quanto può essere importante l'unità di spazio, di tempo e di azione, come sosteneva Aristotele. Una vicenda che dura dieci giorni, ma il grosso della quale occupa sostanzialmente una serata. In quei pochi giri di orologio si concentrano tutte le contraddizioni e la tragicità di una scelta al limite. Quella zona grigia che separa (e mescola) la legalità e il mondo ambiguo dello smercio di diamanti.
Franco Amore è un poliziotto integerrimo, 35 anni senza sparare un colpo, ma l'occasione di fare soldi facili (legali, al servizio del cinese Zang) coincide con la sua ultima notte di servizio prima della pensione. Ovviamente, nulla andrà per il verso giusto. Nel giro di poche ore dovrà salvarsi la pelle, indagare su chi abbia tradito, mettere al sicuro la sua famiglia e quella del collega, ritrovare la merce.
Di Stefano riesce a costruire una storia di tradimenti e doppi giochi in ambito poliziesco nemmeno così complessa, ma strutturata in modo convincente. Tutto si gioca sui dettagli, il dramma si dipana minuto per minuto, la tensione cresce e si mantiene, non deflagra mai.
A questo si unisce una discreta ritrattistica che per modellare i personaggi (senza togliere troppo tempo al noir) utilizza la parlata calabrese, il bozzetto di vita accennato en passant, e una schiera di attori azzeccati (splendida Linda Caridi nei panni della giovane moglie, apparentemente ingenua) che portano le maschere da commedia italiana e assolvono nel contempo al loro ruolo drammatico.
Il film convince perché lavora bene pochi elementi e li valorizza con un taglio realistico e problematico. Su tutto, trionfa il breve monologo finale del poliziotto che, dopo aver sopportato per una vita le intemperanze altrui, finalmente decide di farsi valere, con una certa spregiudicatezza che è figlia dell'esperienza, della concretezza. Nell'ordigno narrativo “di genere” alla fine si snocciola anche una certa malinconia, quella saggezza amara delle tante persone comuni che si arrabattano e, per una volta, magari si prendono un rischio, accettano l'azzardo.