L’intervista

Tanti nuovi spettatori al Donizetti: «Cerchiamo di parlare di temi che riguardano i giovani»

Maria Grazia Panigada, direttrice di Prosa e Altri Percorsi, spiega il boom di abbonati (anche delle nuove generazioni) a teatro

Tanti nuovi spettatori al Donizetti: «Cerchiamo di parlare di temi che riguardano i giovani»
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Di Nicola Magni

La nuova stagione della prosa al Donizetti è iniziata e i giovani che si stanno appassionando sono sempre in aumento. Ne parla Maria Grazia Panigada, direttrice artistica della Stagione di Prosa e Altri Percorsi della Fondazione Teatro Donizetti.

Qual è il rapporto tra la prosa e la città di Bergamo?

«Le prime cose che mi vengono in mente, in questo senso, sono lo stupore e la gratitudine per le presenze. Io credo che Bergamo, in tal senso, è abbastanza un unicum in Italia. Quest’anno, fino a oggi, abbiamo fatto 5.731 abbonamenti, con un incremento negli ultimi due anni di circa 1.040 abbonanti e una quasi totalità dei rinnovi. Questi risultati dimostrano che a Bergamo il teatro è molto conosciuto e vissuto da un pubblico eterogeneo. Questo è motivo di orgoglio e gratitudine».

La prosa è spesso considerata una nicchia. Come si fa a renderla più fruibile, soprattutto ai giovani?

«Innanzitutto, cercando di avere sempre una qualità molto alta. Ogni anno vado a vedere circa una novantina di spettacoli prima di scegliere quelli da proporre. Per quanto riguarda i giovani, adesso stiamo raccogliendo i frutti del lavoro con i Servizi Educativi della Fondazione della sezione di prosa. Si tratta di un progetto veramente importante, che quest’anno vede coinvolti circa 3.200 ragazzi delle superiori e che permette loro di venire a teatro con uno sguardo curioso e aperto. Cerchiamo di parlare di temi che riguardano i giovani, li ascoltiamo. Il lavoro di formazione che facciamo nasce proprio dalla loro esperienza di vita».

Le scuole giocano un ruolo fondamentale, quindi.

«Le scuole e gli insegnanti sono preziosissimi legami con cui andiamo a costruire diversi progetti, però l’importante è che quando i ragazzi vengono a vedere lo spettacolo, vengano con la voglia di vederlo, usando senso critico così da avere delle chiavi di lettura da un punto di vista tecnico, ma soprattutto di contenuto. Inoltre, per quanto riguarda gli Altri Percorsi, faccio io personalmente un accompagnamento alla visione e, a seguire, abbiamo gli incontri nel post spettacolo».

“Progetto Young”, da lei fortemente voluto, è importante per avvicinare e formare molti giovani al mondo del teatro. In cosa consiste?

«Per me, è un po’ il cuore del mio lavoro alla Fondazione. Il corso per attori è guidato da Fabio Comana, che ha chiuso un ciclo l’anno scorso. Di questi ragazzi, Michelangelo Nervosi è già stato preso in compagnia da César Brie ed è in scena nel primo spettacolo di Altri Percorsi. Alcuni nostri allievi sono poi andati in altre accademie: il Teatro Piccolo, la Paolo Grassi, lo Stabile di Torino. Quando quest’ultimo ha preso due dei nostri, la selezione era di 25 su più di 500. Ciò vuol dire che i ragazzi arrivano molto preparati. Poi c’è il corso di illuminotecnica e di fonica che è legato alla formazione delle maestranze ed è tenuto dai nostri tecnici di palcoscenico. Basti pensare a tutti quei ragazzi degli istituti professionali a indirizzo elettrico, che magari possono capire che ci sono anche delle potenzialità professionali nel teatro».

Quest’anno ci sono molti giovani attori in scena. Una nuova generazione di interpreti permette di affacciarsi a una nuova generazione di spettatori?

«Gli spettacoli che vedono dei giovanissimi in scena in questa stagione sono due. “The Trials - I Processi”, con la regia di Veronica Cruciani, che era lo spettacolo di chiusura della Scuola dei Filodrammatici di Milano e che ho voluto fortemente che fosse rimesso in scena, e “Re Lear è morto a Mosca” di César Brie. In questo secondo caso, i ragazzi hanno realizzato lo spettacolo in due anni, trovandosi gratuitamente ogni sera per una settimana al mese, quindi con un investimento altissimo dal punto di vista professionale ma soprattutto umano».

Il tema del “Re Lear è morto a Mosca” è purtroppo attuale: si parla di dittature e repressione e sono molti i giovani oggigiorno che lottano per la propria libertà.

«Il tema è importante, l’idea di questo teatro ebraico di Mosca che vede Marc Chagall tra i suoi fondatori. I protagonisti, Zuskin e Michoels, vengono torturati e poi uccisi da Stalin. In quest’opera, il tema del potere e delle dittature è centrale. Non a caso lo stesso Brie è stato profugo scappato dall’Argentina durante la dittatura. Abbiamo deciso, proprio per l’attualità di questi temi, di fare un approfondimento per il pubblico con l’aiuto dell’Isrec (Istituto bergamasco per la storia della Resistenza, ndr). Il ciclo è iniziato il 4 dicembre e lo abbiamo chiamato “Fra propaganda e libertà”».

Cosa spera e cosa sogna per il futuro della prosa e del Donizetti?

«La mia speranza è quella di essere sempre più un luogo di riflessione e di “cittadinanza”, oserei quasi dire. Per il futuro mi piacerebbe che proseguissimo il tema delle produzioni che adesso abbiamo sospeso per un anno. “L’Iliade”, l’ultima che abbiamo realizzato, è andata benissimo: in due anni abbiamo fatto 140 repliche in tutta Italia. Allo stesso tempo, avrei piacere di fare delle produzioni che valorizzino le competenze che sono nate al nostro interno. Per ora questo è ancora un sogno, ma piano piano ci stiamo arrivando».

“Titizè. A Venetian dream”, scritto e diretto da Daniele Finzi Pasca, mescola la Commedia dell’Arte con affascinanti macchine sceniche. Sarà al Donizetti dal 10 al 18 maggio
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