Tra chiese e palazzi, ma quanto sei bella Nembro? E quella misteriosa firma «Moroni»
Il palazzo del vicario, la chiesa di San Nicola da Tolentino con la cappella firmata «Giovanni Moroni» (chi era?), quella di San Sebastiano. Il polittico della bottega dei Marinoni di Desenzano, le torri perdute, l’antica chiesa di S. Maria in Borgo, lo scorcio stupendo del torrente Carso
di Paolo Aresi
Il sindaco Cancelli è sorpreso, la domanda non se l’aspettava. Non i soliti problemi, non le strade, non l’assistenza agli anziani, non la scuola o l’ambiente. La storia di Nembro. O, meglio, quello che resta della storia e dell’arte dei secoli passati in questo paese. Cancelli si schiarisce la voce, poi dice: «Sì, dobbiamo riscoprire questa realtà. Abbiamo avviato un’iniziativa nella seconda metà del 2019, si chiama Visit Nembro, si trova in Internet: valorizziamo gli aspetti attrattivi di Nembro, abbiamo un paio di persone che ci lavorano in maniera abbastanza sistematica». Ma è un inizio. Il sindaco ricorda un’iniziativa degli anni Novanta, forse dell’Arci, la pubblicazione di un libretto sul centro storico del paese. Dice: «Andrebbe ripreso, ampliato, e di nuovo pubblicato». Si intitolava: “Salvare Nembro”.
Giusto, un passo importante. Conoscere per capire. Poi rendere il giusto valore, poi riconoscere la storia e capire di farne parte. Non tanto per ragioni turistiche. Per noi stessi. C’è un fotografo, Rodolfo Rigon, che sta facendo un lavoro mirabolante sul paese: sta scattando immagini dell’oggi per documentare Nembro in ogni suo aspetto. Ha scattato finora migliaia di fotografie, un grande progetto.
E allora facciamoli due passi in questo centro storico da salvare. Da rilanciare. Da rivivere. «Guardi che quello è il palazzo del vicario, se guarda bene ci legge anche il nome». Circa a metà della via storica di Nembro, prima di arrivare alla chiesa di San Sebastiano, si nota un portone particolare, che riporta al Rinascimento perché non è provvisto del solito arco, ma è squadrato: sopra una bella architrave in pietra bianca, magari marmo, con cornici e più livelli di lavorazione, sotto le due spalle laterali, pure perfettamente perpendicolari e squadrate. In alto si legge ancora un nome: «Petrus Moiolus - Vicarius MDLVI». Petrus era dunque un vicario della Serenissima? Probabile. Ma questo è uno dei tanti gioielli di storia e di arte che il paese offre. Un paese che non è certo celebre per la sua vocazione turistica e che eppure conserva aspetti che appaiono interessanti, da non trascurare. Non come si fece negli anni Sessanta e Settanta quando anche qui si scatenò l’assalto alla diligenza: tanti edifici storici vennero sventrati, modificati, abbattuti. Ricordo una volta, ero a Serina, nel 2000, e incontrai alcuni anziani muratori del paese. Mi dissero: «Quanti archi abbiamo abbattuto, quante volte e pilastri. Ma non ne potevamo più del vecchio perché il vecchio era sinonimo di povertà, di umido, di malsano. Ma ora, se tornassimo indietro, non faremmo quello scempio, interverremmo, certo, ma con rispetto nei riguardi del passato, dei secoli, delle famiglie, degli antenati».
È successo lo stesso in tutti i paesi bergamaschi, con rare eccezioni. Nembro non è stato dei più sfortunati, come del resto Albino e Alzano. E se partiamo dall’inizio del paese, dalla parte di Bergamo, e camminiamo lungo la via storica, incontreremo diversi punti ancora interessanti. Cominciamo dalla chiesa di San Nicola da Tolentino con la sua facciata larga, pulita, l’ampia gradinata di accesso, acciottolata. Il portale che ha sapore di Rinascimento (l’architrave, simile alla casa del vicario, porta ancora la data della consacrazione al «Divo Nicolao da Tollentino», 1509), ma con le due grandi monofore laterali che presentano ancora un aspetto gotico, di sapore veneziano; dalle nostre parti, quello stile arrivò fino a tardi, alla fine del Quattrocento. Dentro ci sono affreschi antichi, quadri e una cappella tutta affrescata con figure di santi, in alto un giudizio universale, con una falsa architettura a colonne, dipinta. In un angolo sta scritto: «Iovannes de Moronis de Albino pinxit». Si tratta di un dipinto murale della seconda metà del Cinquecento. Chi lo fece? Chi era quel Giovanni Moroni? Un parente, un familiare del famoso pittore? La cappella è interessante anche per i nomi inseriti nell'architrave dipinta, in alto. Si legge un «Inami de Zuchinis de Gromo» che probabilmente era Ginami, ma la G si è perduta.
Poco oltre la chiesa, si incontra un’altra occasione importante di visita: il museo delle pietre coti per le quali Nembro, Pradalunga e la zona del Misma diventarono noti in tutta Europa: questo tipo di pietra, ottima per affilare il ferro, era usata dai contadini (ma anche dagli armigeri) di mezzo continente. Sulla destra poi si apre la via Camozzi che presenta un bel portone e aperture ovoidali sotto il tetto; più antico doveva essere il caseggiato davanti, di cui si leggono ancora le pietre d’angolo e una finestra ad arco.
Alcuni portoni del paese sono davvero notevoli. Per la forma, che racconta di un’altra epoca e per l’atmosfera che riescono a comunicare, sotto le volte che sono basse, basate su colonne e pilastri tozzi, ma che non danno un senso di angustia, ma di protezione. C’è un’atmosfera raccolta, naturale. E quando si esce e si guarda magari il palazzone in cemento costruito appena fuori… be’, l’atmosfera è completamente diversa. Un altro portone particolare è quello di via Ronchetti 11, dalla volta larga, decorata in pietra e con una specie di cuspide dove si trova la chiave, in alto. Curioso ed elegante. Quel senso di luogo raccolto e protettivo lo trasmette anche la viuzza “Sotto loggia” che, come dice il nome, transita sotto l’edificio con un passaggio di pietra ai lati e di travi di legno al soffitto. Al numero 21 della via Ronchetti poi incontriamo il portone di cui abbiamo già parlato, quello del vicario.
Interni di San Sebastiano
Il Carso
San Nicola
Quindi si arriva alla piazzetta della chiesa di San Sebastiano, altro semplice, rustico gioiello, con la sua bella piazzetta davanti. Nella chiesa troviamo affreschi del Quattrocento e anche della fine del Trecento che illustrano storie dei Vangeli, come accade anche nella chiesa dei Disciplini di Clusone, per esempio. Un’opera di gran bellezza è il polittico del presbiterio che è attribuito alla bottega dei Marinoni di Desenzano, alla fine del Quattrocento. Di gioiello in gioiello arriviamo alla chiesa di Santa Maria in Borgo, forse la più antica della zona, risalente nella sua prima fondazione al quinto, sesto secolo (ne sono stati trovati i resti, mi dicono…). Quella che vediamo oggi è una chiesa che risale alla fine del Trecento: è citata nel 1396. L’ultimo rifacimento è del 1456. Dopo anni di abbandono, la chiesa è stata recuperata per volere del parroco monsignor Nicoli. Dentro, gli archi sesto acuto, i numerosi affreschi alle pareti di autori ignoti, ma anche dei Marinoni, di Giacomo Borlone e Maffiolo da Cazzano, tutti attivi nella seconda metà del Quattrocento.
Andiamo oltre la ciclopica chiesa parrocchiale e scendiamo lungo la vecchia stradina al torrente Carso. È uno degli angoli più belli e più antichi di Nembro, con il piccolo ponte ad arco, medievale, la pietra dei lavandai, l’acqua che scorre fra sassi ed erba. In questo luogo sono state trovate monete romane e pietra lavorate, i più antichi reperti mai rinvenuti a Nembro. Ma l’edificio di fronte è lasciato andare, eppure è storico, suggestivo. Altri interventi sono stati eseguiti senza il dovuto rispetto della bellezza di questo luogo. Perché? Ora il punto è: come valorizzare quello che resta? Come salvare alcuni edifici e ripristinarne altri? Il sindaco Cancelli ne ha la volontà, i Nembresi lo aiuteranno.