Un fenomeno nuovo

Una bella sorpresa: adesso a Bergamo ci ambientano pure i gialli

Rino Casazza arruola Auguste Dupin e Sherlock Holmes in Borgo Santa Caterina; Wainer Preda scala la classifica con il misterioso intrigo de "Le gocce sul vetro"

Una bella sorpresa: adesso a Bergamo ci ambientano pure i gialli
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Forse è a causa della pandemia che ha fatto conoscere Bergamo in tutto il mondo, e l’ha resa nota alla gente sotto un aspetto drammatico, persino tragico. Di fatto, mai come oggi, la nostra città è entrata nell'immaginario collettivo, anche degli scrittori. In questi giorni sono usciti romanzi ambientati in terra orobica. Ecco quindi Le gocce sul vetro del bergamasco Wainer Preda (Mursia editore) che racconta di «un segreto mortale fra le montagne bergamasche. E porta fino a Praga».

E poi ecco Sherlock Holmes tra sacro e profano, giallo di Rino Casazza, pubblicato nella serie da edicola “I Gialli di Crimen”, romanzo ambientato nel 1903 in cui gli investigatori coinvolti sono addirittura Sherlock Holmes e Auguste Dupin, chiamati a indagare sul furto della preziosa corona della Madonna di Borgo Santa Caterina. E poi ricordiamo i gialli autoprodotti di Fabio Bergamaschi. Per concludere da citare anche Fabrizio Carcano, giallista che vive da anni a Bergamo e che è diventato direttore editoriale della collana “Giungla Gialla” di Mursia editore.

DALL'INTERVISTA A WAINER PREDA, AUTORE DI "LE GOCCE SUL VETRO", pubblicata sul numero di PrimaBergamo in edicola

Wainer Preda, 54 anni, è un giornalista bergamasco che ha fondato e diretto il portale specializzato Montagna.tv e il quotidiano online Bergamosera. Appassionato di storia moderna, scrive di attualità, ma è appassionato di narrativa.

Come sta andando il suo nuovo thriller Le gocce sul vetro?

«Molto bene. L’editore Mursia e il direttore della collana “Giungla Gialla” Fabrizio Carcano hanno creduto in questo progetto. Il libro è uscito da una settimana ed è andato in testa alle classifiche di vendita a Bergamo e provincia».

Come lo spiega?

«Stiamo riscoprendo il piacere della lettura, anche solo come svago. Il mio thriller poi è ambientato a Bergamo. Credo che questo abbia contribuito molto al suo successo. I bergamaschi hanno voglia di leggere qualcosa di diverso dalla tremenda cronaca che ci assilla tutti i giorni».

Partiamo da lontano. Quando era giovane cosa leggeva?

«Leggevo molta saggistica, soprattutto politica, militare e storica. Credo di avere una delle più nutrite collezioni di libri su John Kennedy in Italia. E poi fumetti d’aviazione, battaglie aeree, commandos. Insomma avventure epiche che un po’ ti rimangono dentro».

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Ci parli del suo libro.
«Le gocce sul vetro è un thriller atipico. È un giallo nella trama e nell'intelaiatura ma, stando alle opinioni dei lettori, quasi poetico nelle descrizioni di Bergamo».

È ambientato solo in città?

«La storia prende il via sul lago di Endine, ma poi si sviluppa tutt’intorno, fra il lago d’Iseo, la città e la Valseriana. Sono molto legato alle valli bergamasche. Quando ho un minimo di tempo, fuggo lassù. È lì che sono nati alcuni scenari descritti nel libro. Abbiamo un territorio meraviglioso, che a volte sottovalutiamo. Nel romanzo, poi, ci sono Bergamo e Città Alta che hanno una parte determinante nella storia. Così come importantissima è Praga».

Bergamo e Praga: cos’hanno in comune?

«Il fascino, la bellezza e il mistero che la storia dona loro. Sembrano due città sospese in un altro tempo. Sapevo che, se mi fossero servite determinate atmosfere, lì, magari in qualche angolo nascosto, le avrei trovate».

Nel suo romanzo ci sono l’Atalanta, la speleologia, tormentate storie d’amore, segreti di guerra, indagini e cronaca...

«“Le gocce sul vetro” ha una trama di pura fantasia, in un contesto reale: quello di una città e delle sue mille passioni. Per questo sullo sfondo si muove il calcio, si muovono le storie d’amore, i vizi e le virtù di una città di provincia. C’è la vita quotidiana di Bergamo. Ci sono atmosfere e ambienti che i lettori possono riconoscere facilmente. Ma prima, a monte, c’è stato un lavoro di architettura narrativa, per rendere la storia credibile».

 

DALL'INTERVISTA A RINO CASAZZA, AUTORE DI "SHERLOCK HOLMES TRA SACRO E PROFANO", pubblicata sul numero di PrimaBergamo in edicola

Pochi sanno che nel 1903 Auguste Dupin, il celebre poliziotto creato da Edgar Allan Poe, venne a Bergamo per risolvere un caso particolarmente intricato: nel terzo centenario dell’apparizione, la preziosa corona di cui venne adornato il capo della Vergine da portare in processione, fu rubato. Un furto impossibile, perché la vigilanza era massima, un furto che non avrebbe potuto mai verificarsi. Eppure era accaduto. E pochi sanno che nelle indagini ebbe un ruolo anche il grande Sherlock Holmes. Come, del resto, forse nessuno sa che a dare una mano agli investigatori ci fu un famoso scrittore e drammaturgo: quel Giuseppe Giacosa, che all’epoca aveva cinquantasei anni, autore di diversi libretti d’opera, alcuni celeberrimi come quelli per la Bohème e per la Madame Butterfly.

Chi volesse saperne di più di quell’incredibile e poco conosciuto evento può leggere il libro Sherlock Holmes tra sacro e profano di Rino Casazza, uscito in questi giorni nella collana “I gialli di Crimen” (315 pagine, Euro 5,90) e distribuito nelle edicole di tutta la Penisola. Rino Casazza, 63 anni, è nato a Sarzana, ma dal 1985 abita a Bergamo. Lo abbiamo incontrato.

Da dove viene l’idea di coinvolgere Dupin e Sherlock Holmes per un furto avvenuto a Bergamo?

«Il romanzo è un po’ un omaggio alla città che mi ha adottato. Sono qui dal 1985 perché venni assunto dall’Italcementi. Poi nel 1988 passai al teatro Alla Scala di Milano, nell’amministrazione del personale. Ma sono sempre rimasto a Bergamo, ho accettato la vita del pendolare. Sono sempre stato un appassionato di gialli e ne ho scritti diversi. Poi ho cominciato a scrivere “apocrifi” di Sherlock Holmes. Mi diverto un sacco».

Da quando scrive romanzi?

«Dal 1998, pubblicai il giallo L’unico testimone. Poi però ebbi una pausa di qualche anno e ripresi nel 2012».

In questo romanzo addirittura agiscono tre personaggi famosi.

«Sì, è una mia caratteristica, un mio gioco narrativo. In un romanzo ho fatto collaborare Padre Brown e Sherlock Holmes; il primo un investigatore “psicologo”, il secondo “scientifico”».

Ma il furto della corona in borgo Santa Caterina in quel 1903?
«Ovviamente è un lavoro di fantasia. Cerco però sempre di documentarmi al meglio e di fare rivivere personaggi dell’epoca. In quell’agosto si celebravano i trecento anni dell’apparizione e si fece una festa grande».

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