Arte

Una mostra che non sta mai ferma per i primi trent’anni della Gamec

In allestimento 50 importanti opere messe a confronto con i lavori di quattro “testimoni del presente”

Una mostra che non sta mai ferma per i primi trent’anni della Gamec
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Poco più di trent’anni fa, a novembre 1991, l’anno in cui prendeva le mosse il World Wide Web e si scioglieva l’Urss, veniva inaugurata Gamec-Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo, che oggi festeggia l’anniversario dedicando la sua programmazione 2022 al trentennio appena trascorso.

Con la direzione di Lorenzo Giusti è arrivata nuova linfa. Radio Gamec, nata durante l’incubo del lockdown, ha ricevuto riconoscimenti e plausi da un po’ tutto il mondo, con tanto di palma per il miglior museo conferita del prestigioso Giornale dell'Arte.

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L’11 marzo ha aperto poi al pubblico “Collezione Impermanente #3.0”, terza tappa del ciclo dedicato alla collezione della Gamec. In allestimento fino a fine anno oltre 50 importanti lavori del patrimonio del museo, opera di artisti di generazioni diverse ma tutti realizzati nell’ultimo trentennio, qui messi a confronto con i lavori inediti di quattro “testimoni del presente”: Ruth Beraha, Iva Lulashi, Nicola Martini e Federico Tosi, tutti nati tra gli anni ’80 e’90. L’esposizione, tra l’altro, è già in movimento: appena inaugurata, lavora anche sul concetto di temporaneità, sottolineando il carattere non definitivo delle sue narrazioni grazie a riallestimenti ciclici nel corso dell’esposizione, accanto a nuove presentazioni e interventi di giovani artisti chiamati a dialogare con le opere del museo. Si parte con il lavoro di Nicola Martini, realizzato appositamente per la mostra e che sarà presentato a partire da mercoledì 23 marzo. Successivamente, a maggio, luglio e settembre, le sale 6, 8 e 9 saranno oggetto di riallestimento.

In contemporanea va in scena fino al 29 maggio “Dancing Plague”, il progetto di Panos Giannikopoulos, vincitore dell’XI edizione del Premio Lorenzo Bonaldi per l’Arte-EnterPrize, che dal 2003 sostiene giovani curatori.

Partendo dalla suggestione della “Piaga del Ballo” – avvenimento storico collocabile tra il XIV e il XVII secolo, durante il quale gruppi di persone in diversi paesi europei ballarono ininterrottamente per intere settimane in una sorta di isteria collettiva – Giannikopoulos mette in dialogo la storia europea postmedievale, le problematiche del colonialismo e la recente esperienza della pandemia, attraverso i lavori di Benni Bosetto, Ufuoma Essi, Klaus Jürgen Schmidt, Lito Kattou, Petros Moris, Eva Papamargariti, Konstantinos Papanikolaou, Mathilde Rosier, Michael Scerbo ed Elisa Zuppini.

"Dancing Plague" esplora i legami immaginari di questo episodio di contagio e viralità con le recenti espressioni culturali di resistenza, riunendo in una danza circolare streghe, creature più che umane e frequentatori di locali notturni.

La mostra affronta temi come la teoria queer e la pulsione di morte, la danza come mezzo per creare identità e resistenza culturale per i corpi meno privilegiati, il movimento degli organi essenziali e degli arti trasformato in linguaggio, il ballo come esplorazione e invenzione delle possibilità dei nostri corpi, come mezzo per entrare in relazione con altri corpi e trasformare noi stessi e le persone intorno a noi, come prassi interlinguistica che abbatte i confini sociali e rivela una sorta di consapevolezza che è stata oppressa dall’ordine simbolico.

Durante la serata di apertura delle nuove mostre, all’interno dello Spazio Zero è stata presentata la performance “Acidity Compression Concept” di Michael Scerbo ed Elisa Zuppini, che sarà riprodotta in forma completa a maggio, in occasione del finissage di “Dancing Plague”. Durante il periodo di apertura, gli artisti proporranno eventi performativi ibridi ispirati ai baccanali che combinano formati diversi.

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