Gamec, dall'1 ottobre al 14 febbraio

Una mostra degli artisti che nei giorni della pandemia han detto a Bergamo: «Ti amo»

Una mostra degli artisti che nei giorni della pandemia han detto a Bergamo: «Ti amo»
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di Giuseppe Frangi

Il titolo è un bellissimo gioco di parole inventato nel marzo scorso, in piena pandemia, da un artista rumeno, Dan Perjovschi: “Ti Bergamo” in realtà andrebbe smontato e letto in questo modo, «Berg ti amo”. Così era apparso in forma di manifesto sui muri della città, scritto a mano dall’artista stesso. Ora quella dedica è diventata il titolo di una mostra larga e corale che il direttore della Gamec Lorenzo Giusti e Valentina Gervasoni hanno “inventato” per rendere conto di un fenomeno sorprendente che ha segnato i mesi della grande crisi sanitaria in città: la discesa in campo senza “se“ e senza “ma” di decine di artisti e creativi. La mostra che si apre il 1 ottobre vuole essere una mappatura e insieme un segno di giusta gratitudine.

Per capire lo spirito con il quale è stata pensata, è importante sottolineare la parola che è stata aggiunta come appendice al titolo: “Ti Bergamo. Una comunità”. La dimensione che emerge infatti da questa rassegna programmaticamente eterogena è infatti l’idea che il drammatico cortocircuito dell’emergenza abbia fatto scattare una dimensione di “comunità” nella quale si sono riconosciuti senza riserve decine di artisti e che ha fatto scattare in loro la necessità di agire. Come spiegano i curatori, «la mostra vuole rendere testimonianza visiva di una comunità, che nella difficoltà, si è scoperta tale e che, condividendo il proprio presente, ha saputo ritrovare anche il proprio passato».

Il museo aveva voluto essere in prima linea, lanciando Radio Gamec, un progetto nato sui social durante le settimane della pandemia che ha riscosso tantissimi ascolti, dimostrando come anche un’istituzione-museo possa ripensarsi per essere vicina alla città che la ospita: in mostra ci saranno i podcast delle 66 puntate che hanno scandito il palinsesto a tempo di Radio Gamec e che ha visto come protagonisti tanti personaggi del mondo dello spettacolo e dell’arte.

Una sala del museo verrà trasformata in aula scolastica, dando nuova vita ai banchi dismessi dalle scuole in questo inizio di anno: l’aula accoglierà infatti le classi del territorio, invitando gli insegnanti ad appropriarsi delle opere esposte per declinarle sui contenuti delle proprie discipline. Una grande installazione raccoglierà le duecento foto dell’iniziativa “Fotografi per Bergamo”, lanciata dal magazine Perimetro per finanziare i reparti di Rianimazione e Terapia Intensiva dell’ospedale Papa Giovanni XXIII: e ci sono tanti nomi tra i più importanti della fotografia italiana.

C’è una sezione dedicata agli artisti bergamaschi che presentano i lavori realizzati pensando al dolore che li circondava. C’è Andrea Mastrovito, che con una sua iniziativa ha sostenuto il don Orione durante l’emergenza e che presenta il suo ultimo film realizzato con migliaia di fotogrammi manipolati e dedicato alla sua città natale. C’è Filippo Berta con la toccante immagine di una performance realizzata in una Santa Maria Maggiore deserta. C’è Riccardo Piccoli con le sue piccole tele lavorate a cera, che sembrano come preghiere sussurrate.

Una delle sorprese è il video realizzato dal duo Masbedo: hanno preso spunto da una delle immagini più iconiche dell’Accademia Carrara, Il “Ricordo di un dolore” di Pellizza da Volpedo. È un quadro che nella sua semplicità e immediatezza sembra offrirsi come simbolo dello scoramento della città davanti all’enormità di quanto accaduto. I Masbedo hanno portato la riproduzione della tela, a grandezza reale, in tanti contesti imprevisti: suggestiva la sequenza in cui la si vede salire, sulle spalle di un alpinista, sulla vetta della Presolana. «È un’azione che racconta la solitudine di un momento di dolore e la sua sublimazione», spiegano i curatori. «La tela e l’azione, a confronto, riuniscono ed esprimono la comunione tra il dolore individuale e il dolore collettivo di una valle e della città».

La mostra resterà aperta fino al 14 febbraio e sarà, giustamente, ad ingresso gratuito per essere il più possibile vissuta e partecipata dalla città. Per finanziarsi la Gamec ha realizzato, grazie all’intervento del maglificio Santini una T-shirt con il disegno di Dan Perjovschi che dà il titolo della mostra: metà dei proventi della vendita andranno al Cesvi e metà al museo.

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