Malevič, non serve dire altro (Fino a gennaio 2016 alla GAMeC)
Malevič, una mostra in GAMeC.
Dal 2 Ottobre 2015 al 17 Gennaio 2016.
Per info, qui.
Un grande quadrato nero al centro di una tela bianca. Kasimir Malevič, l’artista russo che lo aveva dipinto, lo “svelò” al pubblico il 15 dicembre di cent’anni fa, con un’operazione che ebbe tutte le caratteristiche di un passaggio storico. La mostra Ultima esposizione futurista di quadri 0,10 si tenne alla galleria Dobychina di San Pietroburgo. Lo zero stava ad indicare l’anno di inizio di una nuova storia, il 10 il numero di artisti che inizialmente avrebbero dovuto esporre (in realtà furono di più). Il riferimento al futurismo aveva invece qualcosa quasi di canzonatorio: il futuro dell’arte non sarebbe andato nella direzione indicata dall’avanguardia che pur aveva fatto maggiormente breccia nella cultura artistica russa. A documentare quella sala dove Malevič espose la sua strana opera ci resta un’unica, storica fotografia. Al cuore della sala c’era il Quadrato nero su fondo bianco (questo è il titolo completo dell’opera), posizionato con una scelta che più “russa” non si sarebbe potuto, nell’angolo della stanza. Cioè rispettando la tradizione con cui venivano appese le icone nelle case.
[Malevič, Quadrato nero su fondo bianco, 1915]
Quel Quadrato nero che tra pochissimo (qui le info sulla mostra) troveremo esposto anche a Bergamo in una variante successiva (del 1923; l’originale è custodito alla Galleria Tretjakov di Mosca ma è considerato inamovibile per la sua delicatezza) non è affatto un quadro nichilista, ma proprio il suo opposto: un quadro pienamente spiritualista. Infatti così lo spiegava il suo autore: «Un benedetto senso di liberatoria non oggettività mi ha fatto inoltrare nel deserto dove nulla è reale tranne il sentimento... e così il sentimento è diventato la sostanza delle mia vita». La sua era una vocazione a spogliare la pittura da ogni oggetto; la ricerca di una purità assoluta. Forse per questo, lui che aveva aderito con convinzione alla Rivoluzione, si trovò presto messo ai margini e addirittura perseguitato. Alla radice della sua convinzione non c’era infatti il materialismo, ma proprio il suo opposto.
Per tornare a dipingere fu costretto a mediare con i principi di quel realismo molto retorico che Stalin aveva imposto a tutti gli artisti. Una pittura che avrebbe dovuto essere celebrativa dell’uomo nuovo nato dalla Rivoluzione. Malevič, ormai svuotato da ogni capacità di resistenza, dovette mediare. Così la sua ultima fase sembra inconciliabile rispetto a quella degli anni Dieci e Venti che lo avevano visto vero protagonista dell’avanguardia. Tuttavia, l’icona funziona sempre da ancoraggio per queste sagome semplificate e rigorosamente frontali che raccontano una Russia profonda e che contrassegnano la fine degli anni Venti. Sono volti svuotati di identità, che diventano quasi emblema di quella stagione di totalitarismo cieco.
Ma è chiaro che quella non è strada che potesse convincere Malevič, tanto più che non lo protegge dalle malversazioni del potere (nel 1930 venne anche arrestato con l’accusa di spionaggio a favore della Germania). Unico strappo che Malevič faceva rispetto alle pretese del regime era in quella firma che metteva a molte sue opere finali: un piccolo quadrato nero.
Malevič morì nel 1935. Non si sa neppure dove venne sepolto. Con lui venne accuratamente archiviata anche la sua opera. Per rivedere in pubblico il Quadrato nero bisognerà addirittura aspettare gli anni Ottanta. Nel frattempo però la memoria di quel quadro aveva conquistato gli artisti di mezzo occidente.