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In dieci anni, in Bergamasca perso l'11,3 per cento delle imprese manifatturiere

Secondo un’analisi condotta dallo Studio Temporary Manager il numero delle aziende attive in provincia sono 10.489, in calo rispetto al terzo trimestre dello scorso anno dell’1 per cento.

In dieci anni, in Bergamasca perso l'11,3 per cento delle imprese manifatturiere
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Nella Bergamasca negli ultimi dieci anni le imprese manifatturiere attive sono calate dell’11,3 per cento. Secondo un’analisi condotta dallo Studio Temporary Manager, società specializzata nei servizi di temporary management al fianco delle aziende in difficoltà, il numero delle imprese manifatturiere attive nella Bergamasca sono 10.489, in calo rispetto al terzo trimestre dello scorso anno dell’1 per cento.

La crisi del settore però, come evidenziano i colleghi di PrimaSaronno, è generalizzata e interessa tutto il territorio regionale. L’industria manifatturiera lombarda, una delle colonne portanti del Paese con il 19,2 per cento di aziende sul totale italiano, nel terzo trimestre del 2020 ha registrato un calo nel numero di imprese attive (in totale 91.301) del 2,2 per cento allo scorso anno. Una flessione che se rapportata al 2010 segna un -15,4 per cento, a fronte di una media nazionale del -13 per cento. La Lombardia, quindi, pur confermandosi come la principale area produttiva del Paese mantenendo il primato italiano per numero di aziende manifatturiere, è la terza regione in Italia per il tasso negativo registrato negli ultimi 10 anni.

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Il calo più elevato si registra in provincia di Varese, che segna un -20,7 per cento delle imprese manifatturiere attive; seguono Mantova (-19,2%), Lodi (-18,8%), Como (-18,5%), Lecco e Sondrio (-18,2%), Pavia (-15%), Monza e Brianza (-14,8%), Brescia e Milano (-14,1%) e Cremona (-13,9%). Secondo l’elaborazione dello Studio Temporary Manager, la flessione nel numero delle attività lombarde è imputabile al fatto che si tratta di realtà per lo più familiari, poco competitive e spesso con figure manageriali inadeguate soprattutto a livello direttivo, con una visione all’internazionalizzazione talvolta non ben pianificata e con una scarsa propensione agli investimenti nel campo dell’innovazione tecnologica.

A questi aspetti si aggiunge il mancato ricambio generazionale (cui andrà incontro la metà delle aziende italiane entro il 2025) dovuto alla resistenza degli imprenditori a pianificare il passaggio del testimone alle giovani generazioni. Fattori di rischio che potrebbero essere ulteriormente acuiti dalla crisi generata dall’emergenza sanitaria. «Il Covid ha generato una crisi globale, che può colpire pericolosamente la sopravvivenza dell’azienda, e questo dipende anche da quanto impreparati si è arrivati alla stessa: se l’azienda porta dietro di sé problemi atavici irrisolti o una finanza gestita poco oculatamente – commenta Gian Andrea Oberegelsbacher, socio e amministratore delegato dello Studio Temporary Manager –. La crisi può essere una fonte di stimolo per riguardare alla propria realtà con occhi esterni e non coinvolti affettivamente, per risolvere non solo la gestione della crisi attuale, ma i problemi perduranti insiti in ogni impresa e difficili da risolvere da chi ci lavora dentro, con approcci più manageriali. In questi casi è importante avere alla guida manager esperti, in grado non solo di rilanciare l’azienda, ma anche di dare nuovi stimoli all’imprenditore stesso».

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